MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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U2 - Il tour è partito ieri sera da Barcellona

Dall''alto, il colpo d''occhio è irreale: il palco ha qualcosa di spaventoso, è un ragnone uscito dalla fantasia di uno Steve Dikto. Verde pistacchio i quattro zamponi, punteggiati di enormi bottoni arancioni grandi quanto antenne paraboliche; sotto il suo ventre, e sulle teste dei Quattro, ci sono un video circolare e rotante HD, e amplificatori che non si fanno problemi con i vicini di casa. Non siamo mica a San Siro, ma al Camp Nou di Barcellona, stadio riempito appena prima delle 10 di sera da 90 mila persone per il debutto del «360° Tour» degli U2: così chiamato perché il palco rotondo protetto dalla spider-thing consente una visione da tutti i lati dello stadio. La visione top è dall''alto: quelli che hanno vissuto e dormito per tre giorni e tre notti sul marciapiede, sacrificio necessario per poter entrare nel golfo mistico, stavano stretti da morire fra gli strumenti e la passerella circolare, e contemplavano da vicino, solo i tacchetti di Bono e la barbetta di The Edge, che neanche con il caldo tropicale ha rinunciato alla berretta sulla pelata. Intorno, il bionico Larry Mullen, con i suoi capelli bianchi, e l''impassibile Adam Clayton, in una serata superlativa al suo basso.

Quattro uomini sui 50, quasi insignificanti nell''immaginario collettivo degli under 20, ma decisi a vender cara la pelle, ancora una volta. Musicisti con i baffi. Buoni, ricchissimi, astuti nel movimento delle proprie finanze. Sanno sempre scaldare i cuori, credono - e ci fanno credere - che il rock possa ancora cambiare il mondo, e lo urleranno per un anno intero (il 7 e 8 prossimi anche a San Siro) ai quattro venti del pianeta. Piaccia o non piaccia, gli U2 sono i Jonas Brothers dell''età adulta, l''ultima band epica di un sogno che pensava in grande, e ora è ridotto a esportare la povertà dall''Africa al primo mondo.

Ma di tale povertà non c''è segno qui, in questa produzione da 150 milioni di dollari e 120 Tir, sponsorizzata Blackberry, con una lunga antenna arancione infilata sulla schiena del ragno e proiettata verso il cielo, a captare i ragazzi di Houston per festeggiare i 40 anni della scoperta della luna: con loro in collegamento, si fa una chiacchiera ecologica, e il concerto si trasforma brevemente in talk-show. Poesia e promozione si intrecciano allegramente. Tre laser verdi perlustrano la notte bollente della Catalogna, il ragnone cambia colori, e intorno si celebra il più incredibile spettacolo occidentale di comunione di passioni, di storie, di suoni. Un delirio, un trionfo.

Per abitudine, la ditta non esagera mai con la novità. Gli U2 sono obbligati a mettere in fila i loro brani più epici, da cori, e optano per una scaletta che vaga fra le epoche e le riscrive, con arrangiamenti audaci o inattesi. Si parte con il nuovo album, «No line on the Horizon», e «Breathe» è un buon inizio: «Ogni giorno debbo trovare il coraggio di uscire in strada», canta Bono elencando guai contemporanei come i virus e le stock options: solo per dire che uscire bisogna, e respirare, «e trovare la grazia dentro un suono». Quella stessa grazia conserva la sua voce, decisa nell''intonazione, duttile, ispirata. Credibile.

Lo stadio attacca a squarciagola «It''s a Beautiful Day», e segue commosso l''omaggio che Bono annuncia al pubblico: «Cantiamo per Michael Jackson»: «Angel of Harlem» ha dentro un''ampia citazione di «Man in the Mirror». Pare una serata familiare, perché spunta pure un inno di compleanno per un''amica di 25 anni: delicati vocalizzi fioriscono dentro «In a little while». Si fa festa quando lo schermo rotondo si allunga e si trasforma in un reticolo mobile che evoca una discoteca: è il momento più grandioso della serata, con «Vertigo» che si accoppia con il remix di «I''ll Go Crazy If You Don''t Go Crazy Tonight», i quattro in piedi sull''ampia pista circolare, in un sabba techno, ma punteggiato da interventi accortissimi di The Edge.

La morale sembra essere, da qui in avanti, che le cose serie possono esser cantate anche in allegria, e velocità. Un pezzo ad alto tasso di emozione, «Sunday Bloody Sunday», è riscritto a rock veloce, a «Pride» e a «Where the Streets Have no Name» fanno iniezioni di botox. Ci si calma appena un po'' con «Walk On», con il volto di Aung San Suu Kyi sugli schermi, e una processione di gente sulla passerella per non lasciarla sola. Tutta l''ultima parte è dedicata alle tematiche sociali: dagli schermi Desmond Tutu loda chi combatte per una buona causa, dal Sudafrica all''Irlanda. Quasi mezzanotte, caldo da morire. Bono si toglie finalmente la giacchetta di pelle, loda i baci che arrivano per sms sugli schermi, ritorna per i bis sul palco dall''alto, appeso a una corda: amore, bontà, sponsor, canzoni si confondono dentro il magico mondo degli U2. «Moment of surrender» segna la fine di due ore indimenticabili, e l''inizio di un infinito rientro a casa dei 90 mila.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it