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Requiem per Michaelino, l'uomo che non poteva crescere mai

Requiem per Michaelino, l'uomo che non poteva crescere mai



Re del pop senza corona ormai da tempo, Michael Jackson. Le accuse di pedofilia, con le cause effettive nelle aule di giustizia, e pure gli estenuanti e numerosi patteggiamenti extragiudiziari che si concludevano sempre con un risarcimento preventivo, gli hanno sfilato piano piano con il patrimonio, in quasi vent'anni, l'ispirazione e lo scettro. Malinconicamente relegato nelle breaking news di cronaca, tragicomicamente mascherato sotto un burqa a Dubai o con maschere e veli che faceva indossare anche ai suoi poveri tre figlioletti, il già vivacissimo artista aveva da tempo come perso le ali, incapace di curare ancora il talento esploso fin dall'età più verde grazie all'intuito del padre-padrone: che a tre anni lo prendeva a cinghiate, quando si nascondeva nell'armadio perché voleva giocare, e non cantare. Finendo per trasformarlo in un perenne bambino.

Chiunque in queste ore abbia visto scorrere in tv qualcuno dei filmati dei Sessanta con i Jackson Five, avrà realizzato da sé l'esplosivo potenziale di una minuscola star, nerissima e con gli occhi infelici, che modulava la voce come un professionista compiuto. Non fu solo gavetta, con i fratelli, ma arte e soldi veri sotto l'ala di Berry Gordy, con l'abbandono dei fumi della natia Gary nell'Indiana, e una nuova vita in California: finché a vent'anni, sul set di «The Wiz» con Diana Ross poi grande amica, Michaelino farà conoscenza con un secondo padre, artistico, Quincy Jones: insieme con il produttore, nasce la più grande stagione che la musica nera abbia conosciuto dai tempi eroici della prima Motown.

Insieme modernizzano il r'n'b' in uno stile dance che diventerà il marchio degli '80, e che ha un'incredibile manifestazione nell'album più venduto di tutti i tempi (140 milioni di copie), «Thriller» dell'82, con anche il primo videoclip più clamoroso, denso di effetti speciali, diretto da John Landis. Tutto è superlativo, per Jackson, in quel decennio nel quale i tratti e il colore della pelle cominciano a mutare seguendo il sogno di una trasformazione che assumerà aspetti anche spaventosi.

Il destino tragico tacque a lungo. Non più schiavo, ma padrone del proprio talento, re autentico nei dorati Anni Ottanta, mostrò di saper ballare la «Moonwalk» (il passo nel quale sembrava che camminasse stando fermo), su «Billie Jean» come neanche avrebbe fatto il grande Cab Calloway al quale si ispirava. La fortunata serie di show scintillanti e vivaci che mise in piedi, facendo più volte il giro del mondo, fu il punto di ispirazione per un'altra rispettabile carriera parallela, quella di Madonna. Jackson era ora gioiosamente star, instancabile coreografo ballerino e declamatore, con la sua vocetta rimasta nel tempo immutata (altro regalo non si sa se buono del destino), le pile di dollari che salivano (e gli avrebbero poi permesso di acquistare l'intero catalogo dei Beatles) e la voglia anche di far qualcosa per gli altri.

Con Lionel Richie scrisse «We are the World» a metà degli Ottanta, per raccogliere fondi contro la fame in Africa. Il successo si rivelò ripetitivo con «Bad» dell'87, ultimo disco con Quincy Jones, e con «Dangerous» del '91, dove fece sfracelli «Black and White», il secondo video con Landis; per il debutto del tour omonimo, nel '92 a Monaco, vidi il più grande aftershow della mia lunga esperienza: un lunapark colorato, giostre e pupazzi animati, tonnellate di cioccolata e ciliegie e torte da stordire i sogni di ogni minorenne. Sempre lì, girava il suo immaginario.

Ma l'ispirazione, se non i numeri, cominciarono a mostrare la corda con «HIStory». E mentre Michaelino già lottava per le prime accuse di pedofilia, le idee parevano ormai fuggire da lui: l'ultimo album di inediti, nel 2001, «Invincible», faceva cascare le braccia. Nulla rimaneva del rutilante autore, né del lieve e solare interprete che era stato; anche la produzione era modesta. Il concerto per celebrare i suoi trent'anni di carriera solista al Madison Square Garden fu in effetti più la cerimonia del ricordo di un talento indimenticabile: da allora, fino ad oggi, non si è mai più parlato di Michael Jackson e di canzoni. Nel giorno del rimpianto incredulo, si scopre che egli ha lasciato "un'eredità molto speciale" ai suoi tre figli: cento canzoni inedite; una storia ancora da raccontare (e chissà se deludente).

Marinella Venegoni

www.lastampa.it