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Jimi Hendrix? Macché disgrazia, lo uccise il manager

Jimi Hendrix? Macché disgrazia, lo uccise il manager

Jimi Hendrix fu ucciso dal suo manager Michael Jeffery. Boom. Questo il tema «forte» del libro Rock Roadie, in uscita il mese prossimo e scritto da James «Tappy» Wright, che lavorò a lungo a fianco del più grande chitarrista di tutti i tempi. La morte di Jimi, mai ufficialmente chiarita, si (ri)tinge di giallo. Hendrix morì il 18 settembre 1970 - poco più di un anno dopo il suo mitico concerto a Woodstock -, ufficialmente soffocato dal vomito dopo aver inghiottito una manciata di sonniferi Vesperax e ingollato del vino rosso. Questa la storia; lo trova agonizzante nella loro stanza d’albergo l’amica di turno, la pattinatrice della Germania Est Monika Dannemann. È lì, svenuto in una pozza di vomito; chiama Eric Burdon (grande voce degli Animals e compagno di bagordi della sera precedente) e un’ambulanza ma Jimi arriva cadavere all’ospedale. Da qui in poi i misteri e le speculazioni, come è avvenuto per ogni grande stella del rock (Brian Jones, annegato in piscina, sarebbe stato ucciso da gente che lavorava per lui); ora le nuove rivelazioni. Dopo una serata di alcool «pesante», Jeffery avrebbe confessato a Wright: «La notte che Jimi è morto ero a Londra, con alcuni amici siamo entrati nella sua camera d’albergo e gli abbiamo cacciato in gola una manciata di pillole condita con qualche bottiglia di vino rosso. Ho dovuto farlo, stava per lasciarmi e perso lui avrei perso tutto». Il contratto che li legava infatti sarebbe scaduto due mesi dopo e, per rincarare la dose, Jeffery era beneficiario di una polizza di due milioni di dollari sulla vita di Jimi. Non è la prima volta che si punta il dito su Jeffery, che fu sospettato persino di spiare Jimi per conto dell’Fbi come «sovversivo». Il fatto è che a Jeffery ormai si può far dire ciò che si vuole: il manager è morto in un incidente aereo nel ’72, due anni dopo Hendrix. Perché Wright ha aspettato tanto a parlare? Profumo di soldi? Libro verità o libro gossip-spazzatura? Intanto la morte del chitarrista rimane avvolta da molti punti oscuri. 9 pastiglie di Vesperax mescolate col vino - sostengono alcuni medici - non sono sufficienti ad uccidere. Suicidio? Allora perché Jimi ha preso 9 pillole tenendone in tasca altre 42? Anche la Dannemann non ha mai chiarito nulla, pur accusando della morte di Jimi, nel libro The Inner Life of Hendrix, la sua storica fidanzata Kathy Etchingham. Consumata dai sensi di colpa, la Danneman si è suicidata nel 1996. Rimane Burdon, che non vuol più parlare della vicenda ma ha spesso dichiarato: «Fu una disgrazia, anche se non ho mai visto nessuno drogarsi come Jimi».

Antonio Lodetti
www.ilgiornale.it

Re: Jimi Hendrix - The Wind Cries Mary (live a Stoccolma - 1967)

Jimi Hendrix - The Wind Cries Mary (live a Stoccolma - 1967)


Re: Hendrix ucciso? La saga dei gonzi che nutre leggende ed editoria pop

Da Londra, Francesca Paci su "La Stampa" ha raccontato questa mattina di un libro, "Rock Roadie", in uscita a giugno in Gran Bretagna, autore un tecnico di Jimi Hendrix di nome James "Tappy" Wright: il quale scrive che secondo lui il più grande chitarrista del mondo non morì di overdose e annegamento nel vomito nel 1970 come si è sempre detto, ma fu ucciso dal suo manager, che si confidò poi con il fonico stesso: "Presi una manciata di pillole, le ficcai in bocca a Jimy e gli versai in bocca diverse bottiglie di vino".

Parole di Michael Jeffrey, il manager, dopo una pesante sbornia, dirette al fonico nell'anno di grazia 1971. E peccato che Jeffrey sia morto poi in un incidente aereo l'anno dopo, e non abbia neanche avuto tempo di godersi la polizza a lui intestata, per la quale avrebbe ammazzato il cliente.

Intanto, sono passati 27 anni. Il fonico-autore ci ha pensato su decisamente troppo, prima della confessione in libro. Confessione che fa, se non altro, rilevare quanto gli artisti non si debbano troppo fidare dei manager, i quali possono essere invasivi a vario titolo (qui, mortale).

Ventisette anni di ritardo rendono l'ipotesi decisamente più improbabile. Stai a vedere che sarà una ricostruzione fantasiosa sulla scia di un (a sua volta) tardivo articolo del medico che aveva seguito Jimi al Pronto Soccorso: scrisse il dottore, nel '92 (vent'anni dopo), di essere convinto che il chitarrista fosse "annegato" nel vino, nonostante la scarsa percentuale di alcol trovata nel sangue.

Ancora c'è chi vede nonno Elvis in giro per gli Stati Uniti, e chi è convinto di aver incontrato Jim Morrison che andava a trovare la propria finta salma al cimitero di Père Lachaise a Parigi.

Ma adesso lasciate in pace almeno Jimi: se quella notte si è lasciato annegare dal probo (e di certo, a sua volta, strafatto) manager, in quel modo, senza fare un plissé, probabilmente era già morto di suo, senza che nessuno gli avesse ancora dato una mano. Un triste replay rock della storia italiana ("Vile, tu uccidi un uomo morto!", disse Francesco Ferrucci a Maramaldo nel 1530 a Gavinana), che viene a foraggiare l'insaziabile curiosità per i tanti misteri di una musica dall'impatto fortissimo nelle menti e nei cuori di tante generazioni.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it