MUSICA




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X Factor, Matteo Becucci per 16 voti brucia i B.astard Sons of Dioniso

X Factor, Matteo Becucci per 16 voti
brucia i B.astard Sons of Dioniso


Ha vinto per una manciata di televoti (16) il livornese Matteo Becucci e con lui a X Factor ha trionfato, per il secondo anno consecutivo, il caposquadra Morgan. Matteo era il più professionale e tradizionale dei concorrenti, mai inciampato in un ballottaggio e ieri sera apparso in forma strabiliante.

Voce piena e grande intonazione, è sempre stato all’altezza della situazione, anche grazie ai brani assegnatigli da Morgan che con lui non ha mai azzardato e dunque mai sbagliato. Il suo inedito “Impossibile” è quanto di più classico ci si potesse aspettare (con un pessimo arrangiamento) e non di quella classicità innovativa di cui si è parlato in studio, toccando altissimi picchi di ipocrisia (Renato Zero lo ha paragonato a Modugno e Morgan stesso avrebbe distrutto un simile brano, se non si fosse trattato del suo protetto).

D´altronde tutta la puntata, trasferita su Rai Uno, è stata una prova di buonismo: i giudici non hanno mai battibeccato, i giudizi sono stati tutti ottimi, ogni scivolone che rendeva divertente il programma è stato accuratamente evitato.

I B.astard Sons Of Dioniso si sono accontentati del secondo posto. Da un mese gli scommettitori li davano per vincenti. Il fatto di non essere mai stati consegnati al ballottaggio era un buon indizio, così come la grande affluenza al concerto di Borgo Valsugana e il consenso sempre accordato dalla giuria in studio. Il loro inedito non è in stile “xfactoriano” ma è stato ben recepito, anche grazie all’astuzia di tradurre in italiano “The zwang song”, canzone disponibile sul loro myspace da Natale e che già vantava ottantamila contatti.

Nella versione italiana è stato tolto il bell’incipit reggae di Anansi e aggiunto il testo dell’”Amor carnale”, oltre alla firma di Gaudi tra gli autori. I BSOD sono diventati subito un piccolo fenomeno e con il sistema del televoto la loro maratona non aveva finora incontrato ostacoli. Sono entrati nel programma per gioco, senza pretese né aspettative. Wice lo chiamava “X coso”, quasi a prenderne le distanze, e questa leggerezza li ha resi forti, spontanei e mai attaccati al risultato.

La sensazione durante le puntate era che si divertissero (hanno regalato in assoluto i migliori siparietti del day time) e di riflesso hanno divertito il pubblico, nonostante si avvertisse la loro insofferenza per non poter picchiare gli strumenti. Ma questo è un limite del format (si è sentita eccome la differenza nella serata unplugged) e l’unica menomazione rispetto al Festival di Sanremo o Amici.

I tre trentini hanno trainato in finale la squadra dei gruppi vocali, che ha molto patito, quest’anno più di quello passato. La Maionchi e il suo vocal coach hanno ricercato affannosamente talenti che, individuati con poco entusiasmo, sono stati puntualmente sbattuti fuori gara, rischiando di lasciare vacante la categoria. Il problema di fondo è che un gruppo senza strumenti poco sa fare ed è meno credibile se nasce dall’insana prassi di unire perfetti sconosciuti in sede di provino: sia gli Aram Quartet che i B.astards convincono perché danno la sensazione di compattezza, non prevalgono l’uno sull’altro, mostrano una sintonia umana e musicale, rappresentano la forma ultima di un percorso fatto di scambi e faticose mediazioni. E’ assodato che una band non sia un insieme casuale di persone, quindi sono inutili, per non dire offensivi, oltre che televisivamente poco incisivi, i forzati accorpamenti di solisti in carovane prive di identità.

Il terzo posto è andato al giovane Jury Magliolo, talmente rimproverato da Simona Ventura e tacciato di essere in crisi che alla fine, in crisi, ci è entrato davvero. Nelle ultime puntate è apparso terrorizzato, inibito, insicuro. Il suo brano “Mi fai spaccare il mondo” ha il ritornello uguale a “Taking chances” di Celin Dion, ma è il concorrente che discograficamente potrebbe funzionare meglio, il più autonomo e a fuoco poiché suona, canta, compone. Gianluca Grignani, che ieri sera lo ha accompagnato in duetto, lo ritiene l'unico ad avere un inedito serio, e anche le radio sembrano concordare.

Si chiude così la stagione di un programma appassionante, se non propriamente musicale (come lo erano un tempo Doc o Roxy Bar, per intenderci) perlomeno filo-musicale, traghettato da una commissione ben assortita con la figura della discografica (Mara Maionchi), della televisiva (Simona Ventura) e del musicista-compositore (Morgan) a offrire i tre punti di vista economico, estetico e artistico, con cui i ragazzi si troveranno a fare i conti, una volta fuori dagli studi East Side.

A parte qualche screzio che fa pur sempre spettacolo (i bonari turpiloqui di Mara, le rime permalose della Ventura, le alzate di ciuffo di Morgan), sia i concorrenti che i giudici hanno seguito un codice comportamentale, senza scadere nell a volgarità e nelle piazzate diseducative che regnano altrove. Hanno ritenuto l’umiltà un valore e questo li ha distinti dai consueti talent show e reality, dove sono la presunzione e l’arroganza ad essere premiati.

Il triumvirato è ormai rodato, ma i commenti post-esibizione della Maionchi e della Ventura sono troppo prevedibili e riduttivi, la loro debole conoscenza musicale ha enfatizzato la competenza di Morgan, che in diverse occasioni ha approf ittato della sua posizione (se avessero conosciuto Jeff Buckley, ad esempio, sarebbero inorridite per l’esibizione di Laura).

E’ proprio lui l’incognita della prossima edizione, in quanto elemento difficilmente sostituibile, non solo per l’indiscussa preparazione, ma per passionalità, inquietudine e attrattiva. Lo scorso anno X Factor era più genuino e meno artefatto ma anche meno seguito (maggior qualita/minor quantita è la regola della tivù). Questa edizione è stata spettacolare, con messe in scena talvolta esagerate, e si è spesso tramutata in una vetrina promozionale, invadente e oscurante. L’impressione è che appena ci si è accorti che il programma funzionava, chiunque abbia voluto inzupparci le mani, compreso chi disdegna simili trasmissioni (come Pino Daniele o Ivano Fossati) o chi non ha molto da insegnare a chi sta lì dentro ma magari ha un disco ben spinto fuori. D’altronde, senza gli orpelli e gli ascolti acquisiti, la Rete Ammiraglia non avrebbe preso a bordo l’equipaggio.

Di buono c’è che nel corso delle tredici settimane sono stati recuperati nomi che hanno fatto storia (Tenco, CCCP, David Bowie, Ramones atc…), le cui opere vengono ignorate dai palinsesti radiotelevisivi e purtroppo dagli stessi concorrenti, che in media hanno una pessima cultura musicale. Il buon repertorio di brani ha fatto sì che, per la prima volta da anni a questa parte, ci si tornasse a riunire nei salotti per discutere di musica, si formasse un pubblico eterogeneo, non composto solo da ragazzine urlanti e madri compiacenti. Adesso è tempo di Ep, da seminare di cover per raccogliere in corsa i frutti della visibilità, in attesa che qualche autore illuminato si faccia avanti (mica tutti si chiamano Tiziano Ferro, o meglio Amy Winehouse, che hanno fatto la fortuna di Giusy Ferreri) e che si racimoli il numero di canzoni necessario per pubblicare un disco di inediti.

Le trappole sono tante: un bravo cantante non è necessariamente un artista, se è buon interprete dovrà barcamenarsi fra le proposte di autori vari, alcuni che rispettano la sua natura, altri che rispettano in primis lo schema che ne assicura le vendite. Se invece è in grado di comporre da solo , non è detto che il risultato sia di qualità. Staremo a sentire. X Factor ha un vizio di format: prima si ottiene il risultato e poi si scopre la creazione, prima si monta un karaoke di qualità molto più tardi si comprende cosa sarebbe ognuno fuori da quel contenitore.

La crescita artistica e lo sviluppo della personalità dei partecipanti è evidente, restano i dubbi sull’obiettivo del programma: la costruzione di un artista invece che la sua rivelazione, ossia l’inverso della via che generalmente percorre l'arte. Tanti personaggi in cerca di un autore, invece di un autore la cui fantasia vive di personaggi, storie, note. Ma questa è un’altra musica.

Simona Orlando
www.ilmessaggero.it