MUSICA




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Addio ai Pooh, il batterista

Addio ai Pooh, il batterista
lascia il gruppo

I Pooh



Cambia la band più amata del pop italiano. D'Orazio se ne va dopo 38 anni
MARINELLA VENEGONI
Delle poche certezze che restavano nella nostra vita di italiani travolti da guai ben più seri, una era quella che i Pooh sarebbero vissuti per sempre tutti insieme, come quattro inseparabili fumetti tenuti legati da mille melodie dolci e dai loro impasti vocali inconfondibili. Ebbene, ieri anche questa piccola certezza se n’è andata: il gruppo rimarrà sì vivo e attivo, «alive and kickin’» come dicono gli americani, ma Stefano D’Orazio è uscito dal gruppo, proprio come John Frusciante (quella volta che Brizzi si traumatizzò) dai Red Hot Chili Pepper. L’evento non sarà magari così epico come quando, nel 1973, se ne andò dal nostro quartetto il bellone Riccardo Fogli, per inseguire una carriera solista e forse anche confuso fra l’amore per la moglie Viola Valentino e la passione per una riottosa Patty Pravo: ma allora erano tempi di amore appena sbocciato, tra i Pooh e le folle ancora invasate dalla Piccola Katy. Canzone appiccicosa, arrivata a disturbare la cifra complessiva del Sessantotto ma segno inconfondibile che della band non ci si sarebbe potuti liberare tanto facilmente. Dopo 43 anni, l’amore per il quartetto si è trasformato per gli italiani in una convivenza quieta, ma con solide basi di scontata sicurezza, come fra anziani coniugi. E, dunque, l’impatto del nuovo abbandono è diversamente scioccante. Naturalmente l’annuncio che D’Orazio se ne va arriva in un momento strategico, alla vigilia della pubblicazione di una antologia con un inedito, che sarà pubblicizzata proprio domani, insieme con la notizia del tour estivo cui pure Stefanone prenderà parte («Per salutare tutti gli amici») in partenza il 25 luglio.

Si sa ormai come vanno di solito queste cose: gli Eagles cominciarono un tour d’addio, lo proseguirono per tre anni, poi fecero un disco nuovo, e ancora sono lì sulla breccia a cantare California; come del resto Cher, anche lei protagonista di un infinito e mai concluso Farewell Tour, finalmente arrivato a Las Vegas. Però, per quanto ci riguarda, pare proprio che il batterista ricciolone si sia stufato, ma proprio stufato, di questa vita sempre on the road a pestare sui piatti. Avrà avuto la sua brava liquidazione milionaria, resterà nominalmente in ditta? Queste cose, via, non si dicono. Quel che è certo è che non si tratta di una separazione traumatica, visto che i quattro canteranno insieme per tutta l’estate e forse anche oltre, sull’onda della notizia: ma poiché i Pooh sono prima di tutto un’azienda solida e florida e niente succede a caso, i segnali di qualcosa di strano (ma al momento incomprensibile) erano arrivati con gli auguri di Natale al giro degli addetti ai lavori: ad augurare era appunto Stefano, da un cartoncino con foto irriconoscibile nella quale i riccioloni sparivano, e lui dava l’annuncio di vita nuova: quale, cominciamo a capirlo solo adesso. D’Orazio, romano «de» Roma, ragazzo del Piper, nato nel ‘48, è lo scapolone impenitente della band, l’unico che non si sia mai sposato in una formazione nella quale tutti tendono a metter su molte famiglie e a fare molti figli (spesso, ahinoi, cantanti). È l’uomo dalle molte avventure, l’unico senza progenie, anche se tratta come figlia sua Silvia, la figlia ventitreenne (e cantante a sua volta) di Lena Biolcati, a lungo sua compagna.

È lui che di solito si cimenta in quelle canzoncine un po’ maliziose e non sempre di ottimo gusto che rappresentano un po’ il versante più osé dei Pooh. Nel gruppo entrò nel ‘71, per sostituire alla batteria Valerio Negrini, che a sua volta non ne poteva più; si vede che la vita del batterista stanca, come anche Phil Collins insegna. Della prima formazione della band, nata nel ‘66, è rimasto solo Roby Facchinetti, il pianista decano dalla voce infinita. Al tempo c’erano appunto Negrini alla batteria, coautore fisso con Roby, Gilberto Fagioli e Riccardo Fogli al basso (sostituito nel ’73 da Red Canzian), Mauro Bertoli e Mario Goretti alla chitarra, Bob Gillot alle tastiere. Ma questa è scienza da Chi vuol esser milionario, perché i movimenti, nella prima parte della carriera, sono stati infiniti. Quel che è certo, è che nel ’68 arrivò pure Dodi Battaglia, dopo aver fatto una settimana di prova a casa di Fogli: erano i tempi di Piccola Katy, e nessuno ormai poteva resistere ai Pooh. Il ‘71 è l’anno di due successi felicissimi, Pensiero e Tanta voglia di lei, ancora oggi le più cantate ai concerti; nel ’72, altra botta con Noi due nel mondo e nell’anima. Fino ad oggi, il gruppo ha venduto 25 milioni di album e 23 milioni di singoli; sono numeri ai quali certo, altri andranno ancora aggiunti, in un futuro fatto di tre Pooh. Salvo sorprese, e rilanci...