MUSICA




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La fine di una stella - di Mina - La Stampa - 5.04.09

La fine di una stella - di Mina - La Stampa - 5.04.09






Philip Nitschke, autore di un manuale sull’eutanasia, ha intenzione di mettere in vendita in Gran Bretagna un kit di facile uso per togliersi la vita. Il dolore insopportabile esiste. Fisico, sentimentale che sia, non ha importanza. Nessuno si prepara a conoscere la propria soglia, ma può capitare a tutti di imbattercisi. Ci vuole un rimedio. Il Dottor Morte ne ha ideato uno. Ci hanno provato in tanti. La letteratura e la filosofia sono ricche di teorie sul suicidio e sulla sopportazione ad oltranza e la storia e l’attualità raccontano di esempi di coraggio e vigliaccheria con esito alternante, indifferente interpretazione e inimitabile significato.

Mi torna in mente qualcosa che non ho mai dimenticato. Un’anestesista bella, con un nome da stella, un giorno di molti anni fa, morì suicida. Era estate, era il suo primo giorno di ferie. Il suo armadietto dell’ospedale, alla mattina, fu trovato perfettamente vuoto. A tutti quelli che avevano avuto l’occasione di vedere la perfezione tecnica della sua morte rimanevano soltanto domande e ammirazione. Specialmente i colleghi non poterono fare a meno di sottolineare il professionale impiego di farmaci e dosaggi, quasi a consolare i sorpresi e a sconfessare chi pretendeva di sostenere un’obbligatoria associazione tra disperazione e scomposte contorsioni. In realtà era sdraiata nel suo letto, sorridente. Non appariva molto diversa da centinaia di malati cui aveva dedicato il suo sapere in quella stramba, artificiale, necessaria situazione che è l’anestesia generale. Era giovane, come il suo grande amore che, poco tempo prima, non aveva superato un grave intervento al cuore. Lei aveva soltanto aspettato le vacanze. Per non scombinare i turni di ferie dei colleghi.

Mi torna intatta la commozione e l’ammirazione. «Non posso vivere senza te», forse l’abbiamo detto tutti. Qualcuno ripetendo parole da canzonette e qualcuno giurando con convinzione sacramentale. A volte non si può sopravvivere ad un amore perduto, ti manca il fiato, ti passa «la voglia di mandare sangue al cuore», la disperazione ti asciuga. Quando il sonno non sai più cosa sia e aspetti soltanto «la prima notte di quiete», quando non ce la fai e non vuoi farcela, quel «non posso vivere senza di te» diventa reale e improrogabile. La dolcissima dottoressa ha preferito mettere fine alla sua vicenda su questa terra perché era l’unica conclusione sensata e rispettosa della sua storia d’amore. Della loro storia d’amore. Non riesco a smettere commozione e ammirazione. E adesso si indigni pure chi ne ha la voglia o il ruolo.

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