MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Ridere all'italiana - di Mina - La Stampa 29.03.2009

Ridere all'italiana - di Mina - La Stampa 29.03.2009

Oggi non mi va di snobbare la scienza del nulla. In fondo, dietro un qualsiasi risultato di una qualsiasi ricerca, anche se brilla per la sua massima inutilità, c’è sempre un barlume di buona volontà, di sana fantasia, di applicazione e di fatica. Questa volta si sono affaticati a cercare la regola d’oro per non sbagliare il calcio di rigore, la legge che regola la categoria dello humor e la matematica del divorzio. Come farne a meno? Liquiderei il problema della «lotteria dei rigori» con qualche rimpianto per non aver dotato Baggio di una calcolatrice in un campo americano nel 1994. Liquiderei i calcoli delle probabilità sul divorzio con l’avvilente evidenza che le statistiche assimilano il matrimonio a una specie di scommessa tipo «rosso o nero» o «testa o croce» o giù di lì.

Mi soffermerei sugli otto buoni motivi e le loro combinazioni per cui ci è dato di ridere. Non in senso possibilistico, si intende. Stiamo parlando di riflesso quasi obbligatorio. The eight patterns of humor è il titolo del libro di Alastair Clarke. Costui è un signore rispettato e rispettabile per il rigore metodologico che adopera in tanti studi che provano a schematizzare il comportamento umano. Io non mi ci dedicherei, in base al mio personale profondo rispetto per il singolo uomo e a quello un po’ meno profondo per la specie.

A puro scopo di polemica tenterei soltanto qualche esperimento per confutare le tesi dell’anglosassone sul riso. Totò fa ridere e può far ridere ogni volta in modo diverso o in momenti diversi della stessa gag vista e rivista mille e mille volte. Posso ammettere che le battute responsabili dell’ilarità siano schematizzabili nei principi di Clarke come la ripetizione positiva, la ricontestualizzazione qualitativa, la scala e altre «quisquilie e pinzillacchere».

Ma provate a far recitare le stesse sequenze di parole, nella stessa ambientazione, all’interno della stessa sceneggiatura a mille, milioni di persone (compresi tutti i comici del mondo). Non riderebbe nessuno. L’esempio di Totò è tipico. Con lui si ride indipendentemente dal copione e lo si può fare per amore, per tenerezza, per complicità. E le stesse emozioni, a parità di cose dette, non le dedicheremmo a nessun altro. Forse l’Italia, con i suoi piccoli grandi Totò e i suoi piccoli grandi estimatori, è diversa dalla Perfida Albione perché non possiede il famoso, esclusivo, regale, superbo, proverbiale, discretissimo «sense of humor». Non so se Clarke parlasse anche di noi. Forse l’Italia, a volte, ride anche di nulla. Per non inondarsi di pianto. Ma lui non lo sa.

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