MUSICA




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Gianni Morandi arriva a Salerno con il suo spettacolo "Grazie a tutti"

Ha fatto tour con gruppi numerosi, con band importanti, con orchestre, con Lucio Dalla, ma questa, in fondo, è la «formazione» con cui il suo pubblico, numerosissimo e davvero transgenerazionale e bipartisan anche se a predominanza femminile, preferisce vederlo all’opera. Nel tour di «Grazie a tutti» che venerdì e sabato monterà il suo tendone davanti allo stadio Arechi di Salerno - visto che Napoli sembra non avere nemmeno uno spazio del genere a disposizione - Gianni Morandi si presenta da solo, con la sua chitarra, su un palcoscenico rotondo e centrale: «È vero, gli spettatori si imbarazzano di meno, le mie chiacchiere e i miei racconti vengono spontanei e così sono ascoltati, le richieste vengono esaudite ogni volta possibile. Posso accennare un pezzo, smetterlo quando voglio, farlo diventare qualcosa d’altro», spiega il sessantaquatrenne ragazzo di Monghidoro, che promette oltre due ore e mezza di show, ovvero almeno quaranta delle centinaia di brani incisi e recentemente riassunti in una serie di fortunate antologie. Brani come «Scende la pioggia», che il 6 gennaio 1969 vinse «Canzonissima» e che quest’anno festeggia i suoi primi quarant’anni: «È un miracolo che canzoncine così leggere abbiano resistito al tempo, ma è il miracolo proprio della canzone popolare. Abbiamo calcolcato che ho cantato quel pezzo dal vivo almeno 4.000 volte, con la chitarra viene semplice, diretto, immediato, colonna sonora di una festa di altri tempi». Altri tempi: nel 1962, dopo il suo primo 45 giri, «Andavo a cento all’ora», Morandi per la prima volta attraversò l’Italia in tour: «All’epoca, oltre al mio paese sull’appennino tosco-emiliano, conoscevo solo Roma, dove avevo inciso. Ero un ragazzo che veniva della balere e dalle Feste dell’Unità, un impresario, un certo Vito Mattera, mi ingaggiò con una compagnia di avanspettacolo, due spettacoli al giorno, a cui seguiva sempre la proiezione di un film. Fu il mio primo viaggio in Italia, la Salerno-Reggio Calabria non esisteva ancora, lo spettacolo era arrangiaticcio, con un gruppo di musicisti scalcagnati, le ballerine e lo spaesato Gianni che scopriva il calore del pubblico di Santa Maria Capua Vetere e della Sicilia». Il tour di «Grazie a tutti», già applaudito da 200.000 spettatori, è un viaggio in un’altra Italia: «Allora stava esplodendo il boom, ora siamo nel bel mezzo di una crisi internazionale che noi sembriamo non voler ancora affrontare con il giusto piglio. In quell’Italia anni Sessanta si sorrideva di più, c’erano speranza, ingenuità, voglia di costruire. Oggi ci sono cinismo, disperazione, avvertiamo la paura del presente prima ancora che del futuro. Andreotti c’era allora e c’è anche adesso, proprio come me, siamo due sopravvissuti». Tra i «sopravvissuti» del suo mestiere, Gianni è uno dei pochissimi che, oltre a portare bene gli anni, si divertono ancora a calcare i palcoscenici: «Mina ha fatto la sua scelta da tempo, come Adriano Celentano, che ogni tanto però compare almeno in televisione. Poi ci sono la Vanoni, la Zanicchi, la Berti... Ma forse solo Massimo Ranieri si sbatte come me: lui è più giovane di qualche anno - è del ’51 e io del ’44 - ma siamo emersi praticamente nello stesso periodo, ricordo ancora la ”Canzonissima” del ’66, che si chiamava ”Scala reale”, Massimo era ai primi passi con ”L’amore è una cosa meravigliosa”, a presentare c’era Pappagone, il grande Peppino De Filippo». «Io e Ranieri siamo l’espressione di un’Italia popolare, proletaria, ma capace di farcela, al Nord come al Sud. Forse per questo ci amano ancora così tanto», continua il fondatore della Nazionale cantanti, «in noi molti rivedono la loro storia. Ma non viviamo di nostalgia, abbiamo studiato, siamo passati dalle forme di spettacolo più nazionalpopolare, e per Gramsci l’aggettivo non era un insulto, a quelle più elitaria. Io passo da ”Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” a Battiato, ho fatto i fotoromanzi come il conservatorio, Massimo ”Rose rosse” e Strehler». I viaggi in Italia di ieri e di oggi suggeriscono a Gianni anche chiavi di lettura politiche: «Da uomo di sinistra rimpiango i Paietta, gli Amendola, i Longo, sino ad arrivare a Berlinguer. Certo, abbiamo scoperto che il sogno della rivoluzione mascherava una dittatura, ma in tanti continiamo a sognare un mondo migliore, senza sapere in chi credere, non c’è un uomo a cui consegnare la propria fiducia. E se la sinistra - Pd e altro non fa differenza - non sta bene, la destra e il centro non stanno meglio: Moro e Almirante valgono molto più dei leader di oggi».

Federico Vacalebre - Il Mattino di Napoli

Re: Mina duetta con Gianni Morandi (1972)

Mina duetta con Gianni Morandi (1972)