Massimiliano Pani svela la genesi di «Sulla tua bocca lo dirò» - di Paolo Giordano
Il figlio Massimiliano Pani svela la genesi di «Sulla
tua bocca lo dirò», tributo al grande melodramma - di Paolo Giordano
D’altronde Mina fa sempre quest’effetto: provoca reazioni, divide, suscita entusiasmi o malumori. E figuratevi se pubblica, come ha appena fatto, un cd che esca dal pop e dal soul per entrare con la velocità di una strambata nella lirica. Critiche? Qualcuna.«Mina è tranquilla, anche questa volta ha rispettato il suo pubblico», dice a Lugano il figlio Massimiliano Pani. Intanto spieghiamo.
In Sulla tua bocca lo dirò Mina canta– come ormai tutti sanno– brani (rielaborati) di Albinoni, Cilea, Tosti e Puccini («Mi chiamano Mimì» e «Sono andati?» da La Bohème, «Nessun dorma» da Turandot e «E lucean le stelle» da Tosca) aggiungendoci un medley da Porgy and Bess di Gershwin, e poi I have a love di Bernstein e Oblivion di Piazzolla. Insomma, un viaggio nel Novecento non soltanto classico ma più ampiamente melodrammatico.
Risultato: un disco tecnicamente perfetto, arrangiato da Gianni Ferrio, che è uno dei migliori orchestratori in circolazione, suonato da una sorta di «dream team» dei professori d’orchestra e cantato da quella che qualcuno definisce «la più grande cantante jazz del mondo». Mica pop: proprio jazz. E il jazz è nato (anche) dal melodramma.
In poche parole, avete capito: Sulla tua bocca lo dirò è una sfida molto più coraggiosa delle ultime di Mina, per di più è «rispettosa e colta» come aggiunge Pani. È un tributo sincero senza la pretesa di trovare una «nuova via» oppure di presentarsi come la nuova Callas (che peraltro non avrebbe mai potuto cantare il «Nessun dorma» perché è una partitura da tenore e non da soprano).
Comunque, specialmente dopo il Festival di Sanremo, si sono scatenate le reazioni. Da una parte Ennio Morricone, Armando Trovajoli, Dado Moroni, Danilo Rea e altri che hanno applaudito senza tanti se e tanti ma. Dall’altra, i «loggionisti», i puristi della lirica che guai a toccare quel repertorio senza rigoroso lasciapassare della critica. Per riassumere, sono quelli che lamentano il disinteresse dei giovani per la musica classica e poi ne maledicono qualsiasi intromissione non ortodossa. Qualcuno (Guido Barbieri su Repubblica) ha addirittura bollato i brani di Puccini eseguiti da Mina come «reinvenzione platealmente (anche se legittimamente) infedele» tirando in ballo l’inevitabile Giovanni Allevi che chissà cosa c’entra anche qui. «Però riceviamo – dice sempre Pani– centinaia di e-mail entusiaste di fans». Già, questo è il punto. Quanti ascoltatori di musica leggera avrebbero mai avuto voglia di sentire L’Arlesiana di Francesco Cilea oppure la romanza di Giuseppe Giordani «Caro mio ben» senza l’intercessione di Mina? Pochi, probabilmente. E questo intento divulgativo è premiato dalla classifica, visto che quasi mai in Italia un cd del genere si è affacciato al secondo posto vendendo in pochi giorni quasi centomila copie.
Potenza di Mina, certo. Ma non solo: anche adesione di un pubblico meno intonso di quel che fa comodo credere.
«Intanto non è un disco furbo» spiega Pani, riferendosi ai tanti artisti pop – come Michael Bolton, ad esempio,o Barbra Streisand - che negli ultimi anni hanno affrontato questo repertorio facendone propri solo gli onori (melodie famose) e non gli oneri (rigore interpretativo ed esecutivo).
E poi è un disco suonato e cantato praticamente dal vivo. Dopo aver scelto i brani, Mina li ha cantati nello Studio 2 della Radio della Svizzera italiana di Lugano ed è sempre stata «buona la prima». «Tre pezzi al giorno – ricorda Pani – rispettando le pause dell’orchestra che si deve fermare per dieci minuti ogni ora». Un prodigio, specialmente in questi tempi volatili e imprecisi.