MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Sanremo, Marco Carta vince il primo festival Raiset - di Alessandra Comazzi

Secondo Povia. E Paolo lancia Maria conduttrice: «Del Noce pensaci, la signora c’ha preso gusto»

Il Festival è morto, viva il Festival. Però targato Raiset o Mediarai. Operazione compiuta non tanto con la partecipazione di Maria De Filippi nell’ultima serata, quanto con la vittoria di Marco Carta, già primo ad «Amici». Di Maria De Filippi, e di chi sennò? E il cerchio ha tutta l’aria di chiudersi sull’onda della «combine», anche per i meno malpensanti. Secondo classificato il Povia delle polemiche, terzo l’outsider, già provvisoriamente eliminato, Sal Da Vinci. La finale è l’appuntamento meno riuscito di un Festival dato per morto ma evidentemente solo svenuto, e chiuso in un profluvio di televoti reali o taroccati (ma si compravano vagonate di cartoline anche ai tempi di Canzonissima), autocelebrazioni, parallelismi e traini web, 20 milioni di contatti sul sito Rai negli ultimi tre giorni. Finale deludente, poco divertente: se Bonolis ha due anime, Ciao Darwin e il Senso della vita, ieri ha prevalso il Senso della vita. E per Sanremo è stato un peccato.

I momenti più attesi erano ovviamente quelli con Maria De Filippi. Che alla luce della vittoria di Carta appaiono vagamente sinistri, certo poco rassicuranti per la limpidezza del Festival. La gag del suo primo ingresso è che lei non vuole scendere. La senti quella voce, dall’alto dice che ha paura perché non c’è il corrimano sulla perigliosa scala. Vuole la musica, parte l’aria wagneriana della Cavalcata delle Valchirie. Niente. Con Barry White, enfin, scende, capelli lisci e tirati indietro, vestitino nero corto con vago sbuffo, si proclama emozionata e preoccupata «perché è la prima volta che metto piede in Rai. Perché sono qui?». Chissà quanto consapevolmente cita Gaber, «perché io sono qui, che son venuto a fare?». Bonolis rassicura. «Sei qui in quanto eccellenza televisiva, la tv è tutta uguale. A voi manca soltanto una cosa, Del Noce». «Il motivo principale per cui io sono qua sei tu, ti ho conosciuto con il tuo cuore e i tuoi sentimenti, hai una grande umanità; Sanremo è tornato l’evento che è giusto che sia». Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

E ancora: «Ho un sogno per questa sera», eccola lì, I have a dream: «Vorrei fare la valletta, sono anche vestita carina». E lui: «Ma non puoi. E’ come Berlusconi che fa l’antennista, Mourinho che allena la Solbiatese, Tremonti che fa la spesa». Com’è come non è, pur non sapendo, per sua ammissione, leggere il gobbo, cosa che evidentemente in quella casa non sa fare nessuno a parte Bonolis, annuncia timidamente la telepromozione. Un turno dopo, eccola chiamare in scena Patty Pravo. Poi si veste di bianco, dice di «non poter essere valletta senza cartelletta», accusa Bonolis di allungarsi troppo, chiama Marco Masini, poi Fausto Leali. Con la cartelletta, in effetti, si fa meglio la valletta. Bonolis a Del Noce: «Attenzione che ci prende gusto, la signora».

Nel grand tour delle arti di scena, chissà quanto produttivo, l’ultima sera del Festival è dedicata alla danza, «il corpo della musica», una scena di Billy Eliot, Giuseppe Picone, «un’altra grande eccellenza italiana» nel finale del Lago dei cigni e poi con Caroline Rice, «la forza, la bellezza, la sensualità di ‘sta fagottata de roba». Arisa, la vincitrice tra i giovani, propone con la sua voce morbida, la sua Sincerità al gentile, animatissimo pubblico dell’Ariston. Ovazione. Antonella Clerici, compagna del contuttore nel 2005, annuncia la nascita della figlia Maelle, nome celtico. I cantanti si esibiscono rigorosamente su sorteggio. Laurenti canta ma tace più del solito. Il bello di serata è David Gandy, oltre le mutande c’è di più. L’idea di portare all’Ariston non solo conigliette, ma anche coniglietti, era ottima, e che diamine, non si pensa mai a lustrare gli occhi delle telespettatrici. Il fatto che fossero tutti stranieri, però, non ha aiutato, perché in fondo a noi ragazze piace anche sentirli parlare. Cosa che ha fatto l’unico italiano, Ivan Olita, cui Bonolis ha dato corda e spazio, lo guardava persino con tenerezza. Inutile la presenza di Vincent Cassel, Annie Lennox ha contribuito al clima da Senso della vita, Piera Degli Esposti ha letto l’ultima dedica, di Dacia Maraini.

E insomma, il festival è andato bene, meno ieri. Con le sue polemiche, contraddizioni, canzoni. Gli ospiti, l’avvicendarsi di uomini & donne, l’irrompere di internet, la rivisitazione. La regia di Stefano Vicario, la bella scenografia di Gaetano Castelli, il palco rotondo e il popolo, pardon il pubblico, seduto intorno a ispirare il conduttore, a dargli energia. Il Festival è come una creatura, con corpo e anima. Una creatura che si ammala, guarisce, non si capisce perché le viene la febbre e perché poi le passa. Dopo gli antichi fasti, negli Anni ‘70, la rassegna non era considerata un «evento», il ‘68 aveva spazzato via convinzioni e convenzioni. Poi sono arrivati il «riflusso», nuovi investimenti, inediti/classici modi di intendere il nazionalpopolare. Ed eccoci qui, alla fine dell’edizione n. 59. Raiset, Mediarai, vedrai.

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