MUSICA




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MUSICA
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Max Pani parla (tace) su mamma - Oggi esce "Sulla tua bocca lo dirò" - di M. Venegoni

Mina irrompe al Festival una seconda volta, dopo l'apertura ufficiale della kermesse con «Nessun Dorma». E irrompe come sempre senza esserci - con buona pace delle colleghe che inutilmente le lanciano straletti e stralucci - con il disco che esce oggi, in pieno Sanremone, e che verrà distribuito in tutto il mondo dalla Sony Classic. Il titolo è «Sulla tua bocca lo dirò», preso a prestito dalla romanza pucciniana di «Turandot» che ha acceso gli ascolti tv dello scorso martedì: «Nessun dorma» è infatti uno dei dodici (per così dire) «brani» dell'album. Non canzoni naturalmente, ma in qualche modo (in qualche modo...) trattate come tali. Arie famose o cruciali che appartengono alla tradizione più nobile della musica lirica o al Novecento, secondo una scelta che è come sempre puro arbitrio di Mina, la quale pesca a piene mani soprattutto nei territori di Puccini.

Ci sono parecchi hit della lirica, di quelli che anche i non melomani conoscono a memoria, qui nella patria del melodramma. Un must come «Mi chiamano Mimì» (forse in onda nell'ultima sera del Festival) e «Sono andati?» dalla «Bohème»; e «Manon», preludio del terzo atto della «Manon Lescaut»; «E lucevan le stelle» da «Tosca». Non solo opere, ma anche romanze come «Ideale» di Paolo Tosti, l'Adagio di Albinoni (diventato «Mi parlavi adagio» con il testo di Giorgio Calabrese), fino alla tradizione americana con «I Have a Love» da «West Side Story» di Bernstein e una meravigliosa «Bess, You Is My Woman Now/I Loves You, Porgy» da «Porgy and Bess» di Gershwin; scelte sofisticate come «Oblivion» di Astor Piazzolla e «La solita storia» dall'«Arlesiana» di Francesco Cilea.

Ma in un'epoca che sempre più consuma il repertorio lirico con rara cura, trattandolo come bruto materiale pop e piegandolo alle logiche del mercato, senza spesso andare troppo per il sottile, la più grande voce della musica popolare italiana del Novecento compie il percorso inverso: trasporta questi suoni ammantati di leggenda dentro il suo mondo, e li rielabora in forma popolare sì, ma con una eleganza e raffinatezza davvero non abituali. Ne esce una Mina eccezionalmente dedita, tesa nell'interpretazione spesso ardita, con passaggi difficili, votata a un'espressività di sicuro differente rispetto alle regole consolidata del pop: per questo, magari, suona liberatoria la ghost-track, una minimalista «Cielito Lindo». Naturalmente, per una simile operazione, ci voleva un deus ex machina: e la scelta non poteva che cadere su Gianni Ferrio, l'ultraottantenne lucidissimo maestro che ha accompagnato l'artista in mille avventure; l'unico forse che poteva ridisegnare il mondo di questi caposaldi ma senza che se ne perdesse l'autenticità nello spirito, pur mutandone il linguaggio.

Di tutto questo si sarebbe voluto parlare ieri mattina con Massimiliano Pani, venuto nella bolgia dantesca della sala stampa sanremese a offrirsi alle curiosità, cercando di surrogare l'Artista Che (come l'isola) Non C'è. Cauto nel rivelare le idee materne, Max non ha voluto commentare la stroncatura dell'Osservatore Romano al «Nessun Dorma» della madre («Non c'è bisogno che Mina, nascosta dietro i riverberi dei mixer digitali, renda insapore una delle arie più note della lirica»); ha solo detto «Mina ha sempre avuto il coraggio delle sue scelte, quindi legittime le critiche». Silenzio sulle critiche di Zanicchi e Patty Pravo all'assenza dell'artista; e sulla proposta di qualcuno di farla senatrice, un enigmatico «Vedremo». In compenso, sappiamo almeno che le è piaciuta la battuta di Benigni «Mina è come Bin Laden», e che della gara sanremese ha apprezzato Afterhours.

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