MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Obama, la notte delle stelle

Bruce Springsteen che canta «The Rising» accompagnato da un coro gospel multirazziale sui gradini del mausoleo di Lincoln: è iniziata così la grande festa di 48 ore con cui Washington celebra l’inaugurazione di Barack Obama, che domani giurerà da 44° presidente degli Stati Uniti. Lungo il Mall che si estende fino a Capitol Hill sono stati in centinaia di migliaia ad assieparsi, incoraggiati anche da temperature meno rigide, per ballare e cantare attorno alla «piscina della rilessione» assieme alle stelle di Hollywood accorse a dozzine per partecipare allo show «We Are One», siamo una cosa sola. Denzel Washington, Beyoncé, Mary Blide, Bon Jovi, Stevie Wonder, gli U2, Shakira, James Taylor, will.i.am e molti altri ancora si sono alternati su un palcoscenico interamente bianco, con alle spalle decine di bandiere a stelle e strisce e i drappi di tutti i corpi delle forze armate innalzati da ufficiali in alta uniforme, alternando canzoni rock e country a citazioni di Franklin Delano Roosevelt, John e Robert Kennedy, Martin Luther King, Dwight Eisenhower, Ronald Reagan e Bill Clinton.

Il primo a mandare in visibilio la folla è stato Tom Hanks dando voce alla defizione di democrazia data da Abramo Lincoln: «Non sarà schiavo nè padrone di schiavi». Ma quando sul palco è arrivato Jamie Foxx la festa è diventata incontenibile perché il popolare attore afroamericano ha imitato alla perfezione la voce di Barack - che seduto vicino rideva - ripetendo la frase che disse la notte della vittoria: «Se qualcuno ancora dubita della democrazia in America questa è la vostra risposta». Con Queen Latifah, Usher, Josh Groban e il golfista Tiger Woods lo spettacolo è andato avanti fino al tramonto. «Vengo da una famiglia militare, mio padre era nelle forze speciali» ha detto il golfista più popolare del mondo, tradendo commozione nel rendere omaggio «a chi serve in divisa la nazione». Garth Brooks ha cantato «American Pie» ballando per venti minuti con centinaia di ragazzi vestiti con giacche blu e rosse e mischiati in maniera da rappresentare la fine della separazione fra Stati democratici (blu) e repubblicani (rossi). «Quanto ho visto stasera sul Mall mi fa dire che il sogno dei padri fondatori vive ancora», ha detto Barack, concludendo lo show richiamadosi al «sogno» di cui parlò il reverendo King proprio dai gradini del mausoleo.

La musica rilanciata da potenti megafoni ha inondato il centro di Washington e deve essere entrata anche nel poco lontano Studio Ovale, dove George W. Bush è tornato da Camp David con Laura per gestire ciò che resta dei suoi otto anni di presidenza. Forse avrà pensato a quando, quattro anni fa, ebbe difficoltà a trovare star disposte a cantare per lui. D’altra parte la Casa Bianca ormai appare un’isola, tutto intorno la stagione di Obama è già iniziata. Centinaia di persone lo hanno seguito al mattino nell’omaggio al Milite Ignoto del cimitero di Arlington, e quando si è recato con Michelle e le figlie nella Chiesa nera battista sulla 19° Strada - dove il pastore lo ha paragonato a Martin Luther King - e in ogni angolo della città coccarde tricolori, gigantografie, bandiere celebrano il momento storico del primo afroamericano che sta per diventare «leader del mondo libero».

Con la festa patriottica e multirazziale che si impadronisce della capitale, la politica fa un passo indietro. Ma i collaboratori del prossimo presidente riescono a far passare dei messaggi. Robert Gibbs, il portavoce, preannuncia che nel discorso di domani Barack Obama parlerà di dare inizio ad «una nuova era di responsabilità», mentre il consigliere politico David Axelrod tratteggia il primo giorno della presidenza: «Riunione con i consiglieri sulle misure anti-recessione e poi con il team della sicurezza nazionale sul ritiro responsabile dall’Iraq entro 16 mesi». Come promesso agli elettori.
www.lastampa.it

Temo che Obama sia come tutti gli altri.

Sono del pensiero che la gente stanca non sa più a chi affidarsi, e avendo sempre bisogno di una guida, è portata ad affidarsi a chi propone qualcosa di nuovo ed innovativo.
Gli Americani poi sono sempre stati dei teatranti, basta notare la candidatura di Obama. Un popolo che si lascia influenzare dal modo di vestire di Obama, dei gesti di Obama che presenta al popolo, gli abbracci di Obama alla gente semplice, e via discorrendo.
Tutti stanno lì come pecore a gridare Obama, ad inserirlo nelle foto, o a prenderlo come esempio. Ma di coerente cosa ci sta in fondo?
Avere fiducia in un futuro Presidente attraverso gli esempi che ho fatto, è a dir poco darmi la zappa sui piedi. Perché io non guardo tutte queste teatralità nel momento che sono messo davanti ad una scelta.
Stesso discorso valeva anche per gli altri candidati alla presidenza.

Sam