MUSICA




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Viva i grandi vecchi della musica, gli unici che possono ancora regalarci la poesia

Viva i grandi vecchi della musica, gli unici che possono ancora regalarci la poesia
di Gino Castaldo


Paul Simon, Peter Gabriel, Bob Dylan. Incidono ma non devono dimostrare niente. E allora non vale la pena ascoltarli, senza nostalgia?

Si ha un bel dire delle nuove musiche, belle,veloci, frettolose o brutte che siano. Ma in tutto questo caos di trasformazioni brucianti e frastornanti, i grandi vecchi che fanno? Dormono, hanno rinunciato, stanno a guardare? In effetti le idee da quel fronte sono poche e incerte. E ancora continuano le deluse polemiche per gli assordanti silenzi di Springsteen. Ma qualche risposta arriva.

Paul Simon ha appena pubblicato un disco, “Seven Psalms”, praticamente un unico pezzo di 33 minuti diviso in sette movimenti, i sette salmi per l’appunto, semplicissimo, voce e chitarra, poco altro, voce tremolante, una dolente e magnifica elegia che sembra dire tanto al mondo contemporaneo anche solo con la sua pacata delicatezza, con la gentilezza del raffinato compositore che ha scolpito l’immaginario musicale del pianeta pop e oggi si permette di rappresentare le sue visioni, i suoi sogni, così come gli vengono.

Perché questo è il punto. Dai grandi vecchi ci aspetteremmo dei segnali, delle indicazioni, degli stimoli di libertà creativa, visto che hanno il privilegio di una condizione ideale: non devono dimostrare niente, sono esenti dalle ansie della nuova, competitiva, tribale scena contemporanea.

Altra importante risposta arriva da Peter Gabriel. Ha aspettato 21 anni per pubblicare un vero e proprio nuovo album. Si intitola “I/O”, e in realtà uscirà in forma completa solo entro l’anno, ma nel corso di questi mesi sono stati pubblicati singoli, tre per l’esattezza, in coincidenza con le fasi della luna piena. Ecco un modo di ricordare la poesia della musica anche per quanto riguarda i rituali promozionali. Non solo, della stupenda “Playing for time”, dice: «Si tratta di una canzone importante per me. Parla del tempo, della mortalità e dei ricordi… È più di una canzone personale che parla di come si assemblano i ricordi e riflette sull’ipotesi di essere prigionieri del tempo o se al contrario, questo è qualcosa che può davvero liberarci». La canzone dura più di sei minuti, ha due versioni, così come tutte le altre del disco che usciranno nel corso dell’anno con cadenza astronomica.

Come al solito a dare un segnale di assoluta noncuranza degli schemi era stato Bob Dylan che nel marzo del 2020 era uscito con il singolo “Murder most foul”, più di 16 minuti. Solo per dire che a volte ci dimentichiamo che in arte, in musica, nelle canzoni, si può e si potrebbe fare di tutto.

Tante volte si percepisce nelle nuove uscite quasi una programmatica rinuncia a questa possibile libertà, e allora, senza “era meglio prima”, vale la pena ascoltare i grandi vecchi perché da loro qualcosa la possiamo imparare: i limiti nell’arte sono solo quelli che ci auto-infliggiamo. E allora perché non volare?

UP
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& DOWN
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