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Adele, a colori: la recensione di "30", brano per brano

Adele, a colori: la recensione di "30", brano per brano

Di Gianni Sibilla

Per la prima volta, la copertina di un disco di Adele è una ritratto a colori: un dettaglio che è impossibile non notaree. Lo sguardo è sempre serioso, ma la cantante sembra guardare avanti: si cerca di ispirare un po' di fiducia dopo un periodo difficile. Tranquilli, in “30” le atmosfere classiche e un po’ dolenti ci sono sempre, a maggior ragione dopo un periodo personale complesso, con un divorzio e il trasferimento a Los Angeles. Il format che ci si aspetta da lei è rispettato: canzoni struggenti con arrangiamenti diretti e melodie con una enorme personalità vocale; ma in "30" Adele prova anche ad ampliare lo spettro del suo repertorio, con incursioni in nuovi territori.

Per dare un po’ di contesto “25”, uscito 6 anni fa, è stato il disco con il miglior debutto in classifica del 21° secolo; la potenza di Adele è tale che persino Taylor Swift si è scansata, anticipando l’uscita di “Red (Taylor’s version)” per non sovrapporla a quella di “30”. Questo è il primo album per la major Sony dopo una vita alla XL Recordings: aspettative ed una potenza di fuoco comunicativo ancora maggiore su quella che è l’uscita discografica più importante del 2021. E non solo, considerando che l'album doveva uscire un anno fa.

Ma alla fine come suona “30”? Lo abbiamo ascoltato in anteprima: è un album pensato per essere percepito come un “instant-classic”, con il suono pulitissimo del produttore Greg Kurstin presente in ben 5 brani, e con qualche apertura inaspettata. Un tocco di elettronica qua e là, ma soprattutto un gruppo di brani che giocano più apertamente con la musica black, in chiave moderna. Sono quelle prodotte da Inflo (al secolo Dean Josiah Cover) dei Sault, e sono le migliori del gruppo. Ecco l’album, raccontato canzone per canzone

"Strangers by nature”
Un inizio iper-classico per voce, archi e piano elettrico Rhodes: la canzone è una sorta di omaggio a Judy Garland, ispirata dal film “Judy” con Renée Zellweger. Tematicamente sembra impostare il disco sul tema della separazione (“Taking flowers to the cemetery of my heart”), anche se più di un’occasione Adele ha spiegato che “30” non è semplice un “divorce album”. Scritta da Adele con Ludwig Goransson, compositore svedese che ha lavorato a “Black panther” che suona tutti gli strumenti.

"Easy on me”
Il primo singolo che ormai tutti conoscono, è la canzone della continuità con il passat: Adele riparte dalla collaborazione con Greg Kurstin, che aveva lavorato su tre canzoni di 25 tra cui “Hello”. Kurstin è ormai una star anche lui: è uno dei produttori più richiesti, ha lavorato tanto con McCartney quanto con i Foo Fighters, e si capisce perché: un soundscape chirurgico, pulitissimo, che è diventato un marchio di fabbrica.

"My little love”
Una delle tre canzoni sopra i 6 minuti del disco, è forse la più particolare del della raccolta: Adele canta su un tappeto di ritmica minimale, archi e cori: un brano a suo modo quasi psichedelico.
Il tema è molto tradizionale: il “piccolo amore” è ovviamente il figlio Angelo, la cui voce compare più volte in frammenti sonori. Si può dire “Resilienza”? Forse sì, perché Adele canta “I’m holdin’ on” e dice di avere molto da imparare: il tema del disco, più che il divorzio in sé sembra questo, quello della rinascita.

"Cry your heart out”
Adele sintetica? Il primo brano ritmato del disco inizia con una voce elettronica che ripete il titolo, con un effetto tra vocoder e autotune. Poi Adele entra con la sua potenza al naturale: a tratti sembra una canzone della Motown, a tratti ha una cadenza reggae, con le voci sintetiche che ritornano periodicamente. Finale con elementi dub e organo: altro gioiello di produzione di Greg Kurstin.

"Oh my God”
Canzone che inizia ritmata, con effetti vocali campionati: la linea melodica principale è molto classica, con un ritornello aperto, ma che contrasta con la base che cambia frequentemente ritmo. C’è sempre la mano di Greg Kurstin, che questa volta prova a portare Adele un po’ - non molto - fuori dalla comfort zone.

"Can I get it”
Inizia voce e chitarra e prosegue con crescendi e drop: pop acustico con parte fischiettate, e altre più ritmiche che ricordano “Rolling in the deep”. Si sente che non è prodotta da Greg Kurstin: la mano è quella di Max Martin, re mida del pop, assieme al suo compare Shellback.

"I drink wine"
Per compensazione, dopo una serie di brani un po’ fuori dal solito percorso, Adele torna al piano e voce: per la prima metà è un brano alla Elton John anni ’70, fino a quando entra una batteria un po’ invadente, con un ritornello con un coro quasi gospel sullo sfondo e un finale recitato. Un’altra canzone sul riprendere possesso della propria vita, sempre prodotta da Greg Kurstin che suona piano, rhodes, hammond, mellotron, percussioni e basso.

"All night parking (with Erroll Garner)”
Viene definito “interludio”: inizia con un fruscio come se ascoltassimo un vinile del pianista jazz scomparso nel ’77. Garner è campionato e accreditato come co-autore, e il suo suono è compensato da una ritmica elettronica, con un effetto di contrasto tra classico e moderno. Un brano da meno di 3 minuti, prodotto da Kurstin con Joey Pecoraro, che suona la maggior parte degli strumenti.

"Woman like me"
Voce e chitarra, con un accenno di batteria dopo un minuto. La melodia è placida e tipicamente adeliana, ma le parole sono dure nei confronti dell’ex. "You never had a woman like me, it’s so sad a man like you could be so lazy, consistency is a guilt”. Scritta e incisa con Inflo/Dean Josiah Cover, mente del collettivo inglese Sault.

"Hold on”
Sempre con Inflo, ma si torna al voce e piano, che ripete in maniera quasi ossessiva e minimalista poche note per buona parte del brano, prima di un crescendo molto lento, ma ad effetto fino all’entrata della batteria, che ricorda Michael Kiwanuka (prodotto non a caso da Inflo/Dean Josiah Cover). Il coro è accreditato ad “Adele’s crazy friends”:

"To be loved”
Adele torna a collaborare con Tobias Jesso jr, piano men già presente in "25" e autore qualche anno fa di un bell’album d’esordio, “Goon”. Un’altra canzone piano e voce molto classica, con un crescendo e un acuto finale fatto per strappare applausi.

"Love is a game”
La terza canzone con Inflo/Dean Josiah Cover, la più lunga del disco nonché la più bella e ambiziosa: quasi 7 minuti. Inizia come una colonna sonora di un film: voce, un organo che si accompagna agli archi e il ritmo del basso. Poi la canzone si apre e un po’ ricorda Amy Winehouse, non solo nel titolo. Ma l’assenza di “losing” fa tutta la differenza del mondo: il riconoscimento che tutto alla fine è stato un gioco.
Un finale soul ed epico.