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De Gregori: “La Storia è la canzone che mi imbarazza di più…”


De Gregori: “La Storia è la canzone che mi imbarazza di più…”
di Daniele Camilli


Caprarola – “La canzone che mi imbarazza di più è la Storia”. Uno dei suoi capolavori. Uno dei tanti, tantissimi che Francesco De Gregori ha scritto. E che ieri sera, al Caffeina Oro Festival di Caprarola, sotto Palazzo Farnese illuminato, ha presentato. Il suo libro. “Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni”, a cura di Enrico Deregibus, anche lui sul palco a Caprarola, e pubblicato da Giunti Editore.


E’ la storia di De Gregori, ma soprattutto i testi. Come Bob Dylan. Lyrics. Soltanto tutte quante insieme. Poesia o meno, Francesco De Gregori ha indubbiamente segnato la storia della letteratura italiana. Ma siccome questo posto gli verrà riconosciuto più avanti, De Gregori, con questo libro, se l’è preso da solo. E senza che glielo conferissero altri. Appunto come Dylan. Non a caso, come ha ribadito anche ieri sera, suo “punto di riferimento”.


“Sono 8 anni che non faccio uscire un disco perché non ho un minimo di ispirazione – ha poi aggiunto De Gregori dal palco -. E in questi momenti bisogna saper ascoltare e stare in silenzio. In silenzio, la forma più sublime di vita. Quando non si ha più l’ispirazione”.


Chi s’aspettava, e temeva, un De Gregori burbero che sarebbe stato lì a brontolare quant’era bello ai suoi tempi, ha trovato invece uno simpatico e brillante, paziente ed elegante nel rispedire al mittente i luoghi comuni. E’ stato pure al gioco, allo scherzo e “all’ammirazione”. Poi s’è fatto freddo, l’ha fatto notare, il tono di voce più severo, e le domande sono finite. Lo schiocco di dita di chi è cosciente del ruolo avuto nella storia della musica e della letteratura che in Italia, dal Canzoniere di Petrarca in avanti, si sono sempre intrecciate. E come Petrarca si vergognava del Canzoniere, i cantautori in Italia hanno avuto sempre il dubbio se quello che scrivevano fosse importante come le cose che gli insegnavano a scuola quand’erano bambini. Meriti che hanno sempre stentato a prendersi. Meriti che invece hanno, De Gregori di sicuro. Proprio sulla scia del Canzoniere che da questo punto di vista segna un percorso, che arriva fino ai giorni nostri e che nel cantautorato trova una delle sue espressioni più belle e raffinate. Un punto di incontro, e snodo, tra culture. Subalterne e di classe.

Testi, quelli di De Gregori, non ermetici, ma colti. Con la volontà di dialogare anche con le forme di espressione ed organizzazione “spontanee” delle culture subalterne. “L’intellettuale rovesciato” di Gianni Bosio che ispira il lavoro pubblicato con Giovanna Marini nel 2001. “Il fischio del vapore”, con dentro i “Treni per Reggio Calabria”.


“Diversi testi, a rileggerli a distanza – racconta De Gregori – ci si rende conto che sono figli del momento. Alcune canzoni sono retoriche. La canzone che mi imbarazza di più è la Storia. Si presta ad essere fruita in modo molto retorico, risorgimentale. Un imbarazzo che trovo anche in altre canzoni, anch’esse sentimentali, in cui non mi ci ritrovo più”.


“Parlare di letteratura in merito ai mie testi – aggiunge – lo considero abbondante. Sono tuttavia un artista. Fare arte è il mio mestiere”. Un’arte che per De Gregori “deve essere ispirata”. Cioè restituire, oppure indagare ulteriormente. Sviluppando, il passo oltre il Canzoniere, ulteriori figure retoriche rispetto a quelle utilizzate nei testi letterari precedenti al lavoro di De Gregori. Racchiusi adesso in un corpo unico. Come un codice. E al tempo stesso un classico che De Gregori, che accaduto anche a Carmelo Bene, s’è voluto regalare in vita.