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Fedez-Lauro-Orietta, astuto pateracchio per riscattare Little Tony

Fedez-Lauro-Orietta, astuto pateracchio per riscattare Little Tony
By Michele Bovi


Fedez, Achille Lauro e Orietta Berti per Mille, già disco di platino.
Fedez e Achille Lauro negli anni Sessanta e Settanta sarebbero stati linciati dai discografici se avessero soltanto osato proporre una collaborazione con Orietta Berti. Il successo di Mille è il prodotto della contaminazione dei generi musicali e soprattutto dell’autonomia che negli ultimi dieci anni gli artisti hanno raggiunto. Superando lo steccato del gap anagrafico e il recinto presunto della prima e della seconda classe.

Cantautori come Edoardo Vianello – compositore ed esecutore di brani ancora oggi popolari e fruttuosi come Abbronzatissima o I Watussi – sono stati a lungo etichettati dai discografici come artisti di serie B.

“Io incidevo per la Rca Italiana e nonostante il successo delle mie canzoni venivo ritenuto dal vertice dell’azienda il brutto anatroccolo che nuotava nello stesso stagno di cigni maestosi come Gino Paoli, Sergio Endrigo, Luigi Tenco. – denuncia Edoardo Vianello – Loro scrivevano e interpretavano brani considerati canzoni d’autore, i miei erano giudicati dozzinali canzonette. Per loro la Rca pianificava il Festival di Sanremo e le altre iniziative di migliore visibilità, programmi radiofonici e televisivi. A me erano riservate le ospitate più sciatte. Vietati gli accostamenti, figuriamoci il melting pop, ovvero la collaborazione tra me e un Umberto Bindi. Peggio che bestemmiare: al massimo mi lasciavano incidere Il peperone assieme al gruppo dei Flippers o scrivere La partita di pallone per Rita Pavone”.

Per molto tempo i dirigenti discografici si prodigarono per mantenere le distanze tra “esecutori impegnati” ed “esecutori leggeri”. Così nel mirino degli esegeti entrarono di volta in volta artisti – come la stessa Orietta Berti, i Ricchi e Poveri, Mino Reitano, i Pooh – sostanzialmente colpevoli di eccesso di popolarità.
Uno degli emblemi di questo pregiudizio è stato Little Tony, considerato per oltre vent’anni il più ordinario dei nostri cantanti. La confessione in video espressa da Gino Paoli lascia pochi dubbi: il direttore editoriale della Ricordi gli proibì di firmare il testo che aveva scritto per la canzone Quando vedrai la mia ragazza. Guai a mischiare la lana con la seta. Il disco uscì firmato da Giangrano, pseudonimo del paroliere Carlo Rossi sulla musica di Enrico Ciacci, fratello di Little Tony. Quando vedrai la mia ragazza, interpretata al Festival di Sanremo 1964 da Little Tony in abbinamento con il cantante americano Gene Pitney, vendette milioni di dischi in tutto il mondo. Paoli con quella rinuncia ***** una ragguardevole somma di diritti d’autore.



La fascia dei potenziali clienti del prodotto Little Tony era evidentemente reputata di categoria plebea dal governatorato nazionale della musica pop. E da numerosi intellettuali. Nel 1968 Dario Fo scrisse per Enzo Jannacci la canzone Ho visto un re, che terminava con il contadino al quale le autorità avevano portato via le modeste proprietà: le carte da gioco, la scatola di kaki, la radio a transistor, la mucca, il maiale, i dischi di Little Tony.

Tra gli anni Ottanta e i Novanta la svolta: Little Tony cominciò a essere rivalutato, ospite di programmi cult, circondato dalla considerazione di opinionisti leader come Renzo Arbore, Maurizio Costanzo, Aldo Grasso, visto come il miglior rappresentante del suo genere, apprezzato per anni di carriera senza la minima infrazione di serietà. Persino Jannacci e Fo si convinsero a cambiare vittima designata e nella registrazione live di Ho visto un re del 1989 “i dischi di Little Tony” sottratti al povero contadino assunsero l’identità di “i dischi di Miguel Bosé”.

Non era ancora abbastanza per indurre i discografici ad azzardare una registrazione accostando a Little Tony un Eros Ramazzotti. Il massimo delle concessione arrivava a Bobby Solo.

Il tabù delle contaminazioni

Il tabù delle contaminazioni resse ancora a lungo. Nel 1987 Marcella Bella partecipò al Festival di Sanremo con la canzone Tanti auguri, firmata dal fratello Gianni Bella. Un musicista tarantino, Giovanni Albano, denunciò la cantante e il fratello compositore per plagio di un suo brano depositato alla Siae nel 1981 dal titolo Tanti auguri, lo stesso di Sanremo, dichiarando inoltre che era stato proprio lui a far pervenire il provino della canzone a Marcella con la speranza che fosse apprezzata e interpretata.

Nell’aula della Pretura di Taranto si consumò il colpo di scena. Il legale della Cbs, casa discografica del nuovo Tanti auguri, sorprese il magistrato: “Signor giudice, non è possibile incolpare Gianni Bella del plagio del testo della canzone perché non lo ha scritto lui. Il vero autore è Gino Paoli”. L’artista pur mantenendo per sé una percentuale dei proventi, svelò l’avvocato, aveva preferito celare il proprio nome consentendo a Gianni Bella di figurare come unico autore del brano. Il pretore Carlo Lavegas volle vederci chiaro, aggiornò l’udienza convocando Gino Paoli. “Premetto che io trovo Marcella Bella bravissima, dotata di voce, fascino e personalità. – spiegò Paoli al magistrato – Non ho avuto difficoltà a scrivere due testi per lei, fra i quali Tanti auguri. Non mi vergognavo affatto di firmarli, ma per ragioni tecnico-editoriali che ignoro nel dettaglio, il mio manager Michele Torpedine mi ha consigliato di non figurare: è una prassi non infrequente nel mondo della musica leggera dove si stabiliscono in questi casi rapporti economici sul gentleman-agreement”.





Quando comandava il direttore artistico

“Potrei raccontare altri mille episodi del genere. – commenta Roberto Gasparini, oggi manager dell’etichetta indipendente Enterprise 8, dopo essere stato in Italia direttore artistico delle tre maggiori aziende discografiche: Emi, Rca/Bmg, Sony – Nella maggioranza dei casi non si trattava di pregiudizi bensì della precisa scelta di mantenere incontaminati gli stili. Claudio Baglioni diverso da Francesco De Gregori e ancora di più da Fabrizio De André: a ciascuno il suo spazio di mercato. Edoardo Vianello non si sentiva apprezzato quanto Gino Paoli? Forse era così, il direttore artistico Ennio Melis aveva come tutti le sue preferenze e le sue logiche. Ma niente sciatteria: i dischi di Vianello erano arrangiati da Ennio Morricone come quelli di Paoli. Negli anni d’oro del disco a bordo di quelle navicelle che sfornavano successi dietro successi c’erano equipaggi di bravi cantanti capitanati da direttori artistici autoritari. Spettava a noi decidere: i litigi erano all’ordine del giorno. Dai tempi di Alberto Fortis che dedicò al dirigente Vincenzo Micocci la canzone con quella frase inverosimile: Vincenzo io t’ammazzerò, sei troppo stupido per vivere”.
- Lei con chi ha litigato?
“Con quasi tutti. Ero convinto delle mie ragioni e motivazioni. Ci sono stati confronti vivaci con Giorgia, Pino Daniele, Antonello Venditti, Eros Ramazzotti, Vibrazioni, Gigi D’Alessio. Sempre sfociati nel risultato dei numeri di vendita prefissati o nella promozione di artisti sottovalutati. Ad esempio fui io a lanciare D’Alessio sul mercato nazionale e a portarlo al Festival di Sanremo, superando i pregiudizi di tutti coloro volevano relegarlo nella nicchia di neomelodico partenopeo; così come fui io a credere in Giovanni Allevi, scartato da tutti i concorrenti e dai miei stessi colleghi d’azienda”

Francesco Guccini non duetta con Ligabue

- Che cosa è cambiato?
“I cantanti hanno via via conquistato la supremazia sui direttori artistici. Son venuti meno i rapporti diretti: il cantante si lascia precettare giusto per il primo disco, poi si fa rappresentare da un manager, da un avvocato. Un comportamento che ha destrutturato le aziende del settore. E allora Fedez decide liberamente di fare un singolo con Achille Lauro. E assieme invitano Orietta Berti. Lei è sempre stata bravissima e fanno tutti bella figura. Per Fedez è anche un modo per farsi accettare dai padri dei suoi sostenitori che non lo vedevano con simpatia e comunque Orietta è patrocinata dall’area di Fabio Fazio: quindi una ragione in più per passaggi televisivi. Oggi una partecipazione a un programma tv vale quanto due anni di royalties discografiche. Ti consente di infoltire il calendario delle serate e dei concerti, fondamentale fonte di guadagno visto che nessuno acquista più le canzoni. Lo streaming, i followers, sono tutti numeri gonfiati che non rappresentano il mercato reale. Chi nega un “mi piace” all’amico bottegaio che ha scritto una poesia sull’ecosostenibilità? Un clic sulla tastiera costa niente, non è paragonabile a quando dovevi cavare di tasca i soldi per comprare un disco”.
- La contaminazione è un errore?
“L’iniziativa di Fedez con Lauro e Orietta, quelle di Jovanotti con Gianni Morandi, di Emma Marrone con Loredana Bertè, di Gigi D’Alessio con i rapper, di Rovazzi con Ramazzotti, secondo me non lasceranno tracce importanti nei repertori degli artisti di punta. Io ammiro chi continua a sottrarsi a queste operazioni che ritengo di natura furbesca e venale. Apprezzo pertanto Francesco Guccini. Ligabue gli ha dedicato un brano affettuoso: Caro il mio Francesco. Guccini è andato a trovare Ligabue che si esibiva in concerto. Ma non sul palco per un duetto, solo nel camerino per un saluto. Un duetto poi lo ha fatto anche Guccini. Ma con Roberto Vecchioni!”.
- Faccia uno strappo alla regola del no-melting pop. Chi chiamerebbe a duettare con Little Tony se fosse ancora tra noi?
“Little Tony era essenzialmente un rocker. Anzi il migliore tra i rocker italiani della prima generazione. Se qualcuno mi obbligasse a creare un accostamento sceglierei senza dubbio i Måneskin”.