MUSICA




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Canzoni italiane dal 2000 al 2020: “Luce (tramonti a Nord Est)” di Elisa


Di Franco Zanetti
“Luce (tramonti a Nord Est)” di Elisa, da “Asile's World (Sanremo ed.)”, 2001.

La più importante voce femminile apparsa in Italia in chiusura di secolo è Elisa Toffoli, la prima dopo molti anni in grado di superare il modello del melisma di derivazione jazz-R&B (alla Giorgia). Con l’esordio di “Pipes & Flowers”, di inaspettato successo, Elisa impone una scrittura di impostazione anglosassone, che adotta un credibile inglese come lingua madre e incorpora stili finora tutelati solo da poche sacche della scena indie: il trip hop, l’elettronica gassosa alla Björk, la drammaticità post-blues alla Beth Gibbons.

Oggi se ne coglie meno l’impatto, ma nel 1998 Elisa fu davvero una novità imponente per il pop nostrano, che sfidò il gusto medio-melodico a suon di introspezioni, ariose trame sintetiche, tanto suono dall’Europa del nord.

Il salto avviene però quando, dopo l’iper-sintetico “Asile's World”, Elisa debutta cantando in italiano – su insistenza della casa discografica – sul palco di Sanremo 2001, supera la favoritissima Giorgia di “Di sole d’azzurro” (con una spinta della giuria) e vince con “Luce (tramonti a Nord Est)”. Non è un pezzo rivoluzionario, ma all’Ariston porta un vento di novità: traduce in suoni accessibili alcuni stilemi dell’elettropop atmosferico e livido in voga a cavallo di secolo (Hooverphonic), con il pregio di non sacrificare nulla in termini di melodia ed emotività, ma anzi di vaporizzare i cliché in una nube acustica di grande suggestione, come una cascata d’acqua che allaga un terreno che sta disseccando.

La canzone, infatti, parla di una relazione che si sta interrompendo e che la voce narrante di Elisa tenta di non far prosciugare per sempre, cercando un feedback che non arriva. Al netto di un sottotitolo che funziona come traccia autobiografica (Elisa è friulana), è un brano di assoluti: luce che cade dagli occhi, lacrime, sole, stelle, luna, voci, alberi, un trionfo di naturalismo che filtra la condizione fragile di una relazione che ha interrotto la comunicazione (“Dimmi se farai qualcosa / se mi stai sentendo / Avrai cura di tutto quello che ti ho dato / Dimmi”).

Usa la natura, in sostanza, come facevano Mango o Zucchero, nei suoi brani più rarefatti. Zucchero, appunto: ci mette lo zampino in quel “siamo nella stessa lacrima” che apre il ritornello, un incipit perfetto, che sembra dare concretezza sensoriale all’immagine di due masse d’acqua che si fondono in una sola, dilagando e travolgendo la canzone. Come una finestra spalancata che lascia che la luce invada lo spazio, a seminare “nuovi giorni” su ogni tramonto di questa Terra.

Al millesimo ascolto, dopo quasi vent’anni, suona ancora freschissima.

Merito di una produzione (di Corrado Rustici) accurata e non comune nel pop italiano: basti fare caso al pregevole gioco di voci filtrate e non (la coscienza, l’anima) nel bridge (“Il sole mi parla di te – mi stai ascoltando, ora?”) o alle eleganti sottolineature del Solis String Quartet, che si esibisce sul palco all’Ariston dietro una Elisa che pare sfuggire di continuo alla camera. Oppure, infine, a quell’ipnotica ripetizione di “ascoltami” nel finale, in cui la voce pare incantarsi, perdersi in un loop sintetico, fino a risuonare con l’aria e con gli echi del paesaggio, per chiudersi su un cambio repentino e folgorante, un capovolgimento dei ruoli simbolico e importante, che parla di coscienze da interrogare, prospettive da ribaltare e voci da non coprire più: “Ascoltami / Ascoltami / Ascoltami / Ascoltati”.

(testo: Elisa Toffoli / Zucchero, musica: Elisa Toffoli / © Sugarmusic/Zucchero & Fornaciari)

(Vincenzo Rossini)