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Plagio Antonacci. Tutti i vip del pop nella causa contro il cantante

Plagio Antonacci. Tutti i vip del pop nella causa contro il cantante
Da Ramazzotti al produttore Ferraguzzo. A denunciare è figlio dello storico arrangiatore del Clan Celentano
By Michele Bovi



Sarà il concertista lecchese Alberto Sgrò a riferire al giudice del Tribunale di Milano Vincenzo Carnì se Mio fratello, la canzone di Biagio Antonacci che ha espugnato la hit parade nell’estate 2018, è il plagio di Sogno d’amore, brano depositato alla SIAE nel 2007 dal pianista e compositore Lenny De Luca. Al maestro Sgrò, pianista, compositore e docente di educazione musicale, è stato affidato due giorni fa l’incarico di CTU, ovvero di consulente tecnico d’ufficio chiamato a verificare per conto del magistrato le segnalate somiglianze tra i due brani.

Mio fratello è popolare non solo per la programmazione radiofonica: dalla canzone germogliò un video diretto da Gabriele Muccino e interpretato da Antonacci assieme ai fratelli Beppe e Rosario Fiorello che è stato trasmesso ripetutamente su tutti gli schermi delle tv italiane. Nonostante la notevole diffusione il brano ancora non ha fatto incassare un centesimo al suo creatore ed esecutore, perché la SIAE già nel settembre del 2019, a seguito della denuncia per plagio sporta da De Luca, ha deliberato di “accantonare i proventi maturati e maturandi per le pubbliche utilizzazioni fino alla risoluzione definitiva della controversia”.



Nella vicenda di Sogno d’amore, la canzone che De Luca ritiene essere stata plagiata da Antonacci, compaiono nomi illustri del panorama musicale nazionale. Il pezzo entrò nel catalogo di Radiorama, struttura manageriale di Eros Ramazzotti, a cui De Luca era legato da un contratto in esclusiva.

“Nel 2015 a dirigere l’etichetta subentrò il produttore Fabrizio Ferraguzzo – racconta Lenny De Luca – E tra i compiti del produttore c’è innanzitutto quello di far ascoltare i brani del suo catalogo per convincere un artista di buona fama a eseguirli”. Sulle capacità di Fabrizio Ferraguzzo non sussistono dubbi: compositore, direttore musicale del talent televisivo X Factor, consulente della Sony Music, da anni lavora con il top del pop nazionale: da Giusy Ferreri a Fedez, dai Pinguini Tattici Nucleari ai Måneskin.


Dunque Antonacci avrebbe ascoltato Sogno d’amore grazie alla mediazione di Ferraguzzo? Secondo il denunciante la connessione è decisamente più diretta: “Ferraguzzo è uno dei due produttori artistici di Dediche e manie – spiega De Luca – E Dediche e manie è l’album di Antonacci uscito nel novembre del 2017 con all’interno la traccia Mio fratello”.

L’arrangiatore del Clan Celentano

Sogno d’amore era stata inizialmente proposta ad Adriano Celentano, un mito familiare. Lenny infatti è figlio del maestro Nando De Luca, versatile multistrumentista e autentica pietra miliare della musica milanese: pianista jazz per mostri sacri come Lee Konitz, Joe Venuti, Tony Scott, Astor Piazzolla, batterista rock nel gruppo fine anni Cinquanta dei Cavalieri con Enzo Jannacci al piano e Luigi Tenco voce e sax, fondatore del Capolinea che per 30 anni è stato il locale di musica jazz più importante d’Italia, De Luca è stato inoltre a lungo l’arrangiatore del Clan, l’etichetta discografica fondata nel 1961 da Adriano Celentano assieme a Don Backy, Gino Santercole, Ricky Gianco e Guidone.

A prescindere dalle affinità familiari, visto il successo di Mio fratello, a De Luca figlio l’esecutore Biagio Antonacci piace quanto Celentano. Purché nei crediti del brano campione di ascolti dell’estate 2018 finisca per comparire anche il suo nome.

Ma in che cosa consisterebbe il plagio? Tra i due brani c’è “una palese uguaglianza nella melodia e nell’armonia, nella struttura e nel disegno ritmico” almeno secondo il confronto effettuato dal consulente ingaggiato da De Luca: il maestro Luca Valsecchi che nel procedimento giudiziario figura appunto come perito di parte. L’ultima parola spetterà al giudice, che si avvarrà della perizia del proprio consulente Alberto Sgrò. Il musicista nominato dal magistrato non è nuovo a queste vertenze. Altre volte si è trovato a verificare “palesi uguaglianze” e le ha affrontate effettuando il tipo di ricerca a cui si atteneva Ennio Morricone: “La musica orecchiabile, proprio perché tale, assomiglia a qualche cosa già scritta. – sosteneva Morricone – Prima di disturbare i giudici con cause del genere bisognerebbe accertarsi di essere veramente il padre di una musica. Perché si potrebbero trovare pezzi di musica tonale del passato sostanzialmente identici”.

Il processo contro Zucchero Fornaciari

Il maestro Sgrò fu il CTU della causa intentata nel 2014 contro Zucchero Fornaciari dal produttore discografico Alberto Carpani, che negli anni Ottanta aveva cavalcato il successo come disc-jockey con lo pseudonimo di Albert One. Carpani accusava Zucchero di aver copiato il nucleo centrale del brano Quale senso abbiamo noi, pubblicato nell’album Una rosa bianca del 2013, dal suo (Take Me to the) Sunshine, brano dance uscito 10 anni prima. “In questi mesi abbiamo richiesto due perizie ed entrambe hanno concluso che i due ritornelli sono proprio uguali. – raccontò Alberto Carpani alla stampa– La cosa più significativa è che il nostro caso è stato oggetto anche di un sondaggio e il risultato è stato che il 95 per cento dei votanti ha risposto che le parti delle due canzoni sono identiche. Lascio comunque a chi deciderà il caso giudicare se questo è un plagio o una semplice coincidenza”.

A decidere furono i giudici Alessandra Dal Moro, Silvia Giani e Pierluigi Perrotti del Tribunale di Milano che nel marzo del 2018 condannarono Carpani e il suo editore alla totale rifusione delle spese processuali. I magistrati piuttosto che al sondaggio allestito dagli autori di (Take Me to the) Sunshine preferirono dar credito ad Alberto Sgrò. Attraverso la comparazione degli spartiti e dell’esecuzione dei due brani il perito aveva stabilito che “il frammento musicale oggetto del contestato plagio è del tutto comune e ampiamente sfruttato in ogni genere e ambito musicale e quindi privo di criterio di originalità”. Lo stesso passo melodico era stato riscontrato in brani precedenti come Doot Doot degli inglesi Freur, Dancing Queen degli svedesi Abba, È Natale a casa mia dei cartoni animati americani anni Sessanta Alvin and the Chipmunks, ma anche le italiane Gli uomini non cambiano di Mia Martini, Nel sole di Al Bano, fino alla musica classica con il Concerto per piano No.1 in Si bemolle minore Op.23 di Pyotr Ilyich Tchaikovsky e Wachet auf, ruft uns die Stimme, preludio corale BWV 645 di Johann Sebastian Bach. Insomma. un’aula di giustizia trasformata in Discoteca di Stato.



Il precedente di Albert One contro Zucchero fa giurisprudenza ma non tendenza. La sezione del Tribunale di Milano specializzata nel diritto d’autore è da sempre considerata un gioiello della giustizia nazionale. E detiene anche il primato italiano e tra i primi dieci nel mondo per l’entità del risarcimento stabilito in materia di plagio musicale: oltre 2 milioni di euro.

La vicenda-record prese vita nell’edizione 1984 del Festival di Sanremo che schierava tra gli ospiti internazionali il cantautore Gilbert Montagné, gloria della canzone francese: una serie ininterrotta di successi planetari con decine di milioni di dischi venduti e le maggiori onorificenze di Stato (Legion d’onore e Ordine del merito) conferitegli da due presidenti della Repubblica, Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy.

Sul palco dell’Ariston Montagné interpretò per la prima volta On va s’aimer, per l’occasione in una versione inglese intitolata Just for Tonight. Il brano era firmato dall’artista non vedente assieme al paroliere Didier Barbelivien ed era stato depositato da due case editrici con sede a Milano. Per queste ragioni la citazione fu presentata al tribunale civile del capoluogo lombardo. A firmare l’esposto erano due connazionali di Montagné: il compositore Michel Cywie e il paroliere Jean-Max Rivière che reclamavano il plagio della loro Une fille de France incisa nel 1976 dal cantante italiano Gianni Nazzaro per un disco circoscritto alla diffusione su territorio francese.

A seguito del fallimento di una serie di tentativi di conciliazione il procedimento aveva preso avvio nel 2002 per chiudersi nel 2012 con la condanna di autori ed editori di On va s’aimer, in base a criteri pressoché rivoluzionari rispetto a un secolo di procedura e giurisprudenza specifiche. La difesa, supportata da tre consulenti autorevoli – il compositore Riccardo Malipiero, il paroliere Alberto Salerno e il dirigente discografico Giampiero Scussel – aveva esposto la consueta tesi dell’assenza di originalità nell’opera che i denuncianti ritenevano plagiata: “I fattori fanno parte di un linguaggio compositivo universale nella musica occidentale di ogni epoca, per cui il movimento melodico di Une fille de France non presenta nessun tratto originale ma rappresenta un rifacimento di elementi comuni che altri in passato hanno saputo adottare con la conseguenza che l’unica conclusione possibile è che Une fille de France non possiede i requisiti di originalità richiesti ai fini della tutela autoriale”.


Una prima sorpresa venne dalla scelta del giudice Angelo Ricciardi di affidare la perizia tecnica d’ufficio non a un musicista bensì a un tecnico del suono, l’ingegner Fabio Bontempi, che analizzò la somiglianza mediante criteri matematici, ossia il numero dei passaggi catturati in Un fille de France per caratterizzare la melodia di On va s’aimer. Bontempi giunse alla conclusione che entrambe le opere musicali avessero caratteristiche di originalità, distinte l’una dall’altra e che quindi non si trattava di plagio. Ancora più sorprendente fu la decisione del magistrato di fidarsi più del proprio orecchio che del suo perito: dopo aver ascoltato la registrazione delle due canzoni il dottor Ricciardi sentenziò che On va s’aimer era stata copiata da Une fille de France.

L’ultimo colpo di scena sopraggiunse nel 2015 con la quantificazione del danno del plagio. Il giudice Martina Flamini decise di applicare le nuove direttive comunitarie varate nel 2006 sul rafforzamento dei diritti di proprietà intellettuale in sostituzione delle norme del 1941. Il risarcimento fu così calcolato in misura pari al totale dei proventi maturati dalla canzone sia in Italia che all’estero dal 1995, somme da restituire agli autori ed editori vittime del plagio. L’ammontare del risarcimento per i mancati introiti fu stabilito in un milione e 950 mila euro più gli interessi. Inoltre il giudice riconobbe i danni morali ai coautori della canzone plagiata stimati in 50 mila euro a testa e le spese legali per 109 mila euro.

La scommessa ora sta nell’indovinare a chi andranno i proventi di Mio fratello una volta che la SIAE sarà autorizzata dalla magistratura al pagamento. E quanti anni ci vorranno per decretarlo. Visti i precedenti, il risultato più prevedibile è che Mio fratello nel frattempo diventi nonno.