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Cristiano Minellono e il ‘ricatto’ agli autori: ‘La popolarità mi aiutò a dire no. Ma…’


Uno dei più autorevoli parolieri sul panorama musicale italiano ammette: ‘Fino alla prima metà del ‘70 anch’io fui costretto a cedere quote autoriali non dovute: iniziai a ribellarmi una volta diventato famoso. Eppure…’

Di Davide Poliani

Se c’è una cosa che può confermare Cristiano Minellono, uno dei più grandi parolieri espressi dalla tradizione della musica popolare contemporanea italiana, è che l’unica arma a disposizione degli autori per evitare da essere ricattati degli interpreti relativamente alla cessione di quote sui propri lavori è il prestigio. “Nella seconda metà degli anni Settanta ero già quello che sono oggi. Ero Minellono”, racconta lui: “Quando mi dicevano ‘cedi, altrimenti il pezzo non lo canto’ io rispondevo: non me ne frega niente”.

“Però mi è successo spessissimo, specie a inizio carriera, negli anni Sessanta e fino alla prima metà degli anni Settanta”, ci racconta l’autore a proposito della pratica che negli USA ha fatto nascere il movimento The Pact: “Dico solamente che a parte ‘L’amore è un marinaio’, che ho scritto effettivamente con la collaborazione di Alberto Testa, tutte le altre canzoni che mi sono attribuite in quel periodo le ho scritte da solo. Eppure, nei documenti dei depositi, figurano co-firmate”.

Poi, con un anticipo di una quarantina d’anni abbondante rispetto all’iniziativa promossa in questi giorni oltreoceano, la scelta di non stare più al gioco. “Decisi di non accettare più questa imposizione”, spiega: “Verso la fine degli anni Settanta ero già un nome importante. Quando qualcuno mi minacciava dicendo che in caso di mancata cessione dei crediti non avrebbe inciso il brano io rispondevo che non me ne fregava niente. Era un compromesso inaccettabile: dei ventiquattresimi SIAE dodici andavano all’editore, otto al compositore e quattro al paroliere. Se la canzone veniva tradotta in un’altra lingua i punti assegnati al paroliere si dimezzavano, perché andavano condivisi con l’autore del testo nella lingua straniera. Quando ho iniziato a potermi permettere di dire no, ho anche modificato, nei contratti, la distribuzione dei ventiquattresimi, esigendo che i dodicesimi riservati agli autori fossero divisi equamente tra compositore delle musiche e autore del testo. Perché non è giusto che la porzione più piccola venga riservata sempre al paroliere: ho scritto brani come ‘L’italiano’ dove il testo è molto più importante della musica”.

Se quello della cessione "forzata" di quote autoriali è un fenomeno non solo endemico, ma anche con una tradizione pluridecennale che ha toccato praticamente tutti, dai mostri sacri alle nuove leve, perché il mondo degli autori non si è mai ribellato? “Gli autori, per la stragrande maggioranza, sono individualisti”, spiega Minellono: “E’ praticamente impossibile che riescano a coalizzarsi. Faccio un esempio. Noi parolieri siamo gli unici che lavorano a proprio rischio e pericolo: se un compositore mi chiede un testo, io glielo scrivo. Se però questo compositore inoltra la stessa richiesta ad altri sei parolieri e poi sceglie il lavoro che gli piace di più, agli autori dei testi non selezionati non resta che un pugno di mosche. Così, per evitare di rimanere vittime anche di questa pratica, verso il 1974 io e altri miei colleghi decidemmo di chiedere anticipi sui lavori. Vuoi un testo? Ok: dammi un milione di lire. Se poi decidi di non usarlo è un problema tuo. Fu il primo tentativo di ribellione. Alla fine della riunione tutti si dissero d’accordo. Ma alla fine, questa linea non la rispettò nessuno…”.