MUSICA




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ESSÌ, NON SONGH’IO A LU SCRIVERE

ESSÌ, NON SONGH’IO A LU SCRIVERE


1 ottobre 1998

Sul "Borghese" di giovedì 17 settembre è apparso un commento di Marcello Bello (alias Marcello Veneziani) dal titolo "Canta, o Mina, e dimentica la filosofia". Il senso dell’articolo è contenuto nelle sue prime righe, che pubblichiamo.

Cara Mina,
ma perché vuol farsi del male? Mi è capitata tra le mani la sua rubrica su "liberal": non mi sembra farina del suo sacco. Lo sento. Una volta ha aperto citando il filosofo Gabriel Marcel e ha chiuso citando Eliot. E nel mezzo ha dato lezioni di filologia greca. Un’altra volta ha parlato di eutanasia e di valdesi. Mi perdoni Mina ma quei pezzi non sono suoi. Non ci credo neanche se me li canta al volo, senza spartito ... Perché farsi passare per filosofa, perché abbassarsi al rango di intellettuale? Lei è grande grande grande; non ha bisogno di fingersi quel che non è. Lei è la colonna sonora del nostro Paese, sta in piedi da sola, senza bisogno di questi "playback" epistolari. Io sono un suo devoto che la difende persino quando canta in foggiano con Celentano con un lessico un po’ triviale. E che aspetta con ansia il suo imminente album su Domenico Modugno. Capisco che per lei una rubrica è come una canzone, ci pensa il paroliere; ma a cantare poi ci mette la sua splendida voce; invece a trascriverli ci mette solo il nome … Scriva perlomeno come fa quando canta le canzoni altrui: Mina canta Adornato, o chi per lui. Glielo dico con ammirazione e non con perfidia (…)

Caro Marcello Bello,
la mia mamma adorata sostiene, fin da quando io ero piccola, che scrivo bene. Ora tu mi confermi che ha ragione. Sì, perché il fatto che tu pensi che i miei pezzi li scriva Adornato è per me un complimento talmente grande che mai mi sarei sognata di meritare.
Tu dici che sono una grande cantante perché ho l’ugola d’oro. Invece è perché ho un cervello fenomenabile ... E anch’io te lo dico con ammirazione e non con perfidia, ma soprattutto te lo dico perché il tuo pezzo (molto carino, se avessi un giornale ti vorrei con me) mi ha messo una grande voglia di scherzare. Buon segno? Cattivo segno? Chissenefrega! Vedi, io ho un grande difetto. Se per esempio non so o non ricordo una cosa, molto umilmente mi informo. E siccome sono una rompicoglioni, non mi basta una semplice infarinatura, voglio andare nel profondo. E poi memorizzo tutto come un bravo computerino. Questo esercizio ho cominciato a farlo in prima elementare.
Dopo il tuo pezzo c’è stata la rivolta di alcuni amici che mi hanno chiamato. E anch’io, a mia volta, ho chiamato Adornato. Quando gli ho chiesto: "Te lo mando via fax?", lui ha risposto: "Ma no, compro il giornale ... Oddio ... comprarlo magari è troppo". E io: "Va bene. Te lo mando". Ho chiuso ridendo.
So di deluderti mettendoti di fronte ad una Minona non così ignorante come tu speravi ... dici, ha già quel dono, non può avere altro, neppure il diritto ad una istruzione un po’ più che elementare. E allora voilà! Sì te si credute ca fu Adornato a me scrivere li articoli, tieni proprio raggione. È lui lu culpevole. Ma tu non può canuscere una verità ancora più prezziosa. Il disco che stocio fando non songh’io a cantarlo, ma Ferdinando Adornato ca tiene anche la dote d’avere una voce d’angelo.

Re: Il mito di Mina ( di Marcello Veneziani)

Il mito di Mina ( di Marcello Veneziani)

Un ritratto della più grande ugola italiana di Marcello Veneziani contestualizzato in un’epoca indimenticabile, buona lettura( red.)
Fonte: Panorama/ Marcello Veneziani.it

Mina scoppiò come la guerra mondiale in Italia nella primavera del 1940. Il formidabile ordigno canoro compirà infatti il prossimo 25 marzo ottant’anni. Nacque con un cognome risorgimentale, Mazzini. È prodigioso ascoltare le sue ultime canzoni con Ivano Fossati e con l’altro tirannosauro della canzone, Adriano Celentano, ineguagliabile quanto canta, insopportabile quando predica. Il miracolo di Mina è che il suo canto è più bello ora di sessant’anni fa quando esordì come urlatrice. Tanti anni fa ci rese ciechi di lei ma per fortuna non sordi. Ha vissuto ormai più anni nella clandestinità che in video. La visibilità rende famosi, l’invisibilità rende divini.

Mina è stato anche il simbolo storico dell’Italia dopo il boom economico, l’Italia che figliava e cresceva in ogni senso, scopriva il mare e le vacanze, andava in vespa e in cinquecento, vedeva la tv e si perdeva nella radio.

Di Mina vorrei dire tutto il bene possibile, e l’ho già fatto più volte. Troppe storie intime hanno avuto la sua colonna sonora; a volte si sono dimenticati perfino i fatti e i protagonisti ma non il suo sottofondo musicale. Una volta sola tanti anni fa insinuai una perfidia sul suo conto di cui mi pentii. In quel tempo, più di vent’anni fa, Mina scriveva una rubrica adorabile su un settimanale e io dubitai che fosse farina del suo sacco e lo scrissi su un altro settimanale che dirigevo. Lei mi indirizzò una deliziosa lettera in cui riuscì quasi a convincermi che era una scrittrice traviata dalla musica; forse perfino una filosofa, che aveva ripiegato sulla canzone. A quali gloriosi risarcimenti porta talvolta la vita. “Caro Marcello Bello – mi scrisse allora Mina chiamandomi con lo pseudonimo che usavo nella rubrica satirica – la mia mamma adorata sostiene, fin da quando io ero piccola, che scrivo bene. Ora tu mi confermi che ha ragione. Sì, perché il fatto che tu pensi che i miei pezzi li scriva il direttore è per me un complimento talmente grande che mai mi sarei sognata di meritare. Tu dici che sono una grande cantante perché ho l’ugola d’oro. Invece è perché ho un cervello fenomenale… E anch’io te lo dico con ammirazione e non con perfidia, ma soprattutto te lo dico perché il tuo pezzo (molto carino, se avessi un giornale ti vorrei con me) mi ha messo una grande voglia di scherzare”. E così continuava tra carezze e sgridate… Sto ancora aspettando che Mina fondi un giornale e mi chiami a scrivere con lei, in modo che possa anch’io vantarmi come altri noti parolieri di aver scritto per Mina…

Vidi una sola volta da bambino Mina dal vivo, cantava in un veglione, come si chiamavano allora i concerti con ballo in un teatro a Bisceglie. Ma interruppe la sua esibizione perché fu insultata da alcuni cafoncelli che le rivolsero allusioni pesanti alla sua vita privata, che agli occhi di oggi sarebbero vicende del tutto comuni. Lei s’offese e piantò il palcoscenico. Patì da allora il cantus interruptus di Mina, che mi lasciò un desiderio insaziabile di lei.

Con Lucio Battisti Mina detenne il ruolo di Santa Patrona dell’Italia canora, la cui capitale volgare resta Sanremo. Poi Battisti passò dall’invisibilità all’aldilà e restarono solo canzoni spiritiche in coppia con lui. Il medium alle volte fu Mogol, il mitico Giulio Rapetti.

In un libro intitolato non a caso La sposa invisibile, cantai il suo passaggio al mito, allieva di Pitagora e delle sue sfere celesti. La consideravo iconoclasta di se stessa, incantatrice come una sirena, ma senza mai mostrare il suo corpo misto, le sue pinne o le sue ali mitologiche. L’idea di scomparire mi sembrò un’ottima alternativa al lifting, alle pietose cure dimagranti, alla chirurgia plastica, per difendersi dall’oltraggio degli anni e dall’insolenza dei chili in eccesso, semplicemente sparendo alla vista. Anche perché una voce così intensa che incita all’amore non poteva provenire da quella grassa e matura signora, già logorata dalla vistosità, da infiniti studi uno e dalla tv in bianco e nero, quando appariva con la testa turrita e la risata sfacciata, accanto a Panelli e Luttazzi, Alberto Lupo, Sordi e Totò. Mina, fece la sua scelta, tra la mistica e il marketing, e si dileguò, appro*****ndo del passaggio dal bianco e nero al colore.

Da decenni assente ma presente, continua a mandarci dal suo minareto invisibile come una muezzin della mistica leggera, svariati messaggi – talvolta purtroppo anche pubblicitari – e splendide canzoni che hanno deliziato la nostra vita, con quel lieve tocco di malinconia e di amori andati a male, che si addice alla bellezza tormentata dell’amore, tra apparizioni e scomparse, ricordi e rimpianti. Scorporò la sua voce, disincarnò il canto, e diventò la colonna sonora delle più intime tenerezze di molte generazioni. Abbiamo continuato a vivere nella civiltà minoica da lei decantata, anche dopo anni dalla sua assenza, come accade alle stelle di cui arriva la luce in terra anche se da anni sono spente e cadute. Mina è patrimonio di svariate generazioni che oggi hanno dai quaranta ai cento anni, e non dispiace a tanti giovani.

Mina è stata pure l’autobiografia della nazione in versione musicale, uno dei simboli della nostra identità collettiva in versione romantico-leggera. Ha provveduto all’educazione sentimentale del nostro paese, come Mike Bongiorno e il maestro Manzi hanno insegnato l’italiano essenziale per capirsi da nord a sud e perfino i rudimenti di un’istruzione. Restano le sue canzoni magnifiche e perfino le sue versioni, a volte migliori dell’originale, di splendidi cantautori italiani, da de Andrè a Battiato, oltre Battisti, Dalla e i sullodati Fossati e Celentano. Cantami o’ Diva, cantaci ancora.

MV, Panorama n. 12 (2020)