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Chuck Berry: "Il mio chitarrista preferito? Sono sempre io"

Il 6 agosto il papà del rock, Chuck Berry, a Senigallia per l’unico concerto europeo: "Nel 1955 lanciai la nuova musica e ancora oggi sono il migliore"

È l’autore di Johnny B. Goode (400 versioni ufficiali tra cui quella dei Beatles, di Jimi Hendrix, dei punk Sex Pistols), di Roll Over Beethoven e Maybellene, il brano targato 1955 che trasformò un giovane teppista di colore nel papà del rock’n’roll. Questa in due parole la storia di Chuck Berry, l’uomo che con la sua chitarra osò manipolare le trame armoniche convenzionali viaggiando verso un nuovo suono. Prima di lui il r’n’r era un ibrido di melodia, rhythm’n’blues, country, canzone novelty; con lui la musica molla i freni inibitori, la chitarra elettrica diventa protagonista con riff epilettici e assolo squillanti, la sua voce aggressiva urla messaggi liberatori agli adolescenti. E poi lui ci sapeva fare; scontroso e irascibile quanto camaleontico sul palco, ammiccante e provocatorio, istrionico nel suonare su una gamba sola o attraversando il palco con il suo celebre «passo dell’oca». John Lennon disse: «Il vero nome del rock è Chuck Berry», e se Berry non ha inventato il rock, ne è a tutt’oggi il simbolo più popolare. A 83 anni è ancora sulla scena; magrissimo, sguardo ora innocente ora assassino, pare uno degli Aristogatti ma continua a dominare i palcoscenici di mezzo mondo; nonostante tutto il rock è ancora «cosa sua» e il 6 agosto arriva al Summer Jamboree di Senigallia (uno dei festival di vecchio rock e rockabilly più importanti del mondo) per il suo unico concerto europeo.

Come si sente a 83 anni il re del r’n’r?
«Sono in formissima ma non sono il re di nulla. Io ho suonato per primo la musica che sentivo nell’aria e veniva dal blues; da lì tutti dicono di ispirarsi a me e mi citano, e io ne prendo atto».

Ci sono molte leggende sui suoi esordi, ci racconti la verità.
«Vivevo per strada e combinavo un sacco di guai; un giorno presi in mano una chitarra da pochi dollari e la suonai come se avessi preso la scossa. Scrissi un brano dal ritmo country intitolato Ida Mae, la portai alla Chess e lì accelerammo il ritmo, attaccammo l’amplificatore e cambiammo il titolo in Maybellene. Così iniziò tutto».

Lei è stato il primo rocker a scrivere testi e musica.
«La musica nasceva dalla mia anima, i testi dall’esperienza. In Johnny B. Goode canto la storia del ragazzo di campagna che migra in città; in Roll Over Beethoven ricordo i tempi in cui, da piccolo, ero costretto ad ascoltare le mie sorelle che suonavano il pianoforte mentre volevo correre a mettere i soldini nel jukebox».

Poi i bianchi vi hanno rubato la scena. Cosa pensa di Elvis e company?
«Il blues è la vera musica dei neri, ma il rock è un cocktail di blues e country e ognuno è libero di interpretarlo in modo diverso. Elvis era decisamente diverso da me, più melodico, ma io non mi curo degli altri, penso solo a me stesso».

Qualcuno l’avrà pure ispirata.
«Mettetevi bene in testa che tutto il rock ’n’roll nasce dalla tromba e dal canto di Louis Jordan. Prima di lui c’era la musica dei vecchi. Poi viene T. Bone Walker che ha inventato tutti i trucchi con la chitarra e suonava persino coi denti decenni prima di Hendrix, che guarda caso ha imitato la mia Johnny B. Goode. Amo anche Muddy Waters ma il mio chitarrista preferito sono io. Mi sono fatto da solo e non ho mai cambiato strada».

Lei è molto duro con tutti.
«Nessuno mi ha regalato niente, tutto ciò che ho me lo sono guadagnato. Molti hanno cercato di fregarmi per il colore della mia pelle. Ora tutti sanno che Chuck Berry non suona neppure un accordo se prima non è stato pagato fino all’ultimo dollaro. Questo non è cinismo, è autodifesa».

Immagino che anche il rock di oggi non le piaccia.
«Io porto avanti lo spirito originale del rock, ma il mondo della musica si ringiovanisce ogni giorno ma le radici sono sempre le stesse. Prima o poi sentirai echeggiare nei loro brani qualcosa che ricorda Roll over Beethoven o Sweet Little Sixteen. Ci sono un sacco di buoni gruppi oggi e io li celebro cantando il mio inno Hail Hail Roc’n’ Roll».

Insomma lei è sempre il migliore di tutti?
«Io non faccio paragoni ma ho la mia visione del mondo. Ho suonato coi Rolling Stones e li considero una grande rock band moderna, io sono un classico».

Ma per un vero rocker non arriva il momento di appendere al chiodo la chitarra?
«Smettere di suonare sarebbe come stancarsi dell’aria che respiro. Il tempo non esiste se c’è la salute. Suono al meglio delle mie possibilità, magari non come quando avevo vent’anni, ma garantisco che il pubblico esce felice dai miei concerti».

Quello del 6 agosto al Summer Jamboree sarà l’unico show europeo.
«Bisogna farsi desiderare, e poi sto ultimando il mio nuovo cd che uscirà a fine anno perché “rock” è solo una parola, siamo in pochi a saperlo trasformare in pensiero, vibrazioni, vita».

Antonio Lodetti

www.ilgiornale.it

Chuck Berry - You Never Can Tell

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