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Tiziano Ferro e Mara Maionchi, c’eravamo tanto odiati?

Tiziano Ferro e Mara Maionchi, c’eravamo tanto odiati?
Il riassuntone del caso del momento. Lei a ‘Belve’ gli dà dell’irriconoscente, lui ribatte: «Perché mi fai questo?». E ora spunta una ricostruzione secondo cui le cose tra loro sarebbero andate male fin dall’inizio. Che lui condivide, e lei (in parte) smentisce…

3 MAGGIO 2024 11:04
Tiziano Ferro e Mara Maionchi, c’eravamo tanto odiati?
Mara Maionchi e Tiziano Ferro


Insomma, forse il rapporto tra Tiziano Ferro e Mara Maionchi non è mai stato rose e fiori neanche nei ruggenti anni d’oro. Quindi no, non si parla del gelo che s’intuiva, dopo che lei ‒ come talent scout, insieme al marito Alberto Salerno ‒ aveva scoperto e cresciuto Ferro, lanciandolo sul mercato appena ventenne producendogli con la Emi i primi tre cruciali dischi, cioè Rosso relativo (2001), 111 (2003) e Nessuno è solo (2006), prima di prendere ciascuno altre strade. E non si parla neanche di frizioni lavorative già note, come quelle che lei aveva raccontato nel 2017, dicendo che Ferro «mi odiava» perché per due anni, tutte le settimane, andava da Latina fino a Milano per farle ascoltare i suoi provini, e la risposta era sempre negativa.


La tarantella di Belve è stata la miccia, con Maionchi che, pizzicata da Fagnani, gli aveva dato dell’irriconoscente in tv, e lui che ha risposto sui social: «Ti sono sempre stato grato, te l’ho dimostrato un milione di volte durante un milione di occasioni quindi mi chiedo: perché questo?». Ma la verità sarebbe un’altra, secondo un articolo uscito su MOW a firma Grazia Sambruna. La ricostruzione in questione è stata condivisa da Ferro stesso, mentre in parte mitigata da Maionchi. In sintesi: sarebbe stato un rapporto sbagliato dall’inizio.


Pare infatti che per Rosso relativo Maionchi e Salerno, da gente che sa bene che vasca di squali sia il mercato, pensarono di tirarlo fuori dall’anonimato vendendolo come teen idol, una pratica che non fa onore alla loro immagine di produttori illuminati ma in sé legittima e pure abbastanza trita; il problema era però che Ferro, all’epoca, pesava più di cento chili (i famosi 111 che danno il titolo al secondo disco) e fosse omosessuale. «Non si è svegliato gay a trent’anni: lo è sempre stato», scrive Sambruna. Farà coming out nel 2010, anni dopo la rottura con Maionchi; perché l’imposizione della produttrice, all’epoca, fu netta: doveva dimagrire e non dire di essere gay, per avere un contratto e sfondare nel mercato.

Nel giro di un’estate, quella del 2001, grazie al singolo Xdono l’operazione andò effettivamente in porto: Ferro dimagrisce e diventa un idolo delle teenager, Rosso relativo domina le classifiche (a fine 2002 saranno 300mila le copie vendute) e perfino il lancio sul mercato europeo e sudamericano regala soddisfazioni. Non fosse che lui si percepisce in trappola, in «una gabbia dorata»: ha soldi e fama, sì, ma recita una parte, è apprezzato per quello che non è; e questo nascondere sé stesso lo porta alla depressione, con crisi d’autostima e problemi d’alcolismo. Pare che in quelle settimane fosse sul punto di fare coming out e liberarsi di un peso, ma Maionchi bloccò l’intervista in questione; al contempo vennero messe in giro voci ‒ senza fondamento, ma funzionali ‒ di una sua relazione con la conduttrice Giorgia Surina, a cui si diceva che fosse dedicata Sere nere (2003). Servivano ad alimentare il teatrino del cantante buono per il pubblico di giovanissime di allora.

In conferenza stampa per l’Eurovision Song Contest, dov’è impegnata in questi giorni, Maionchi ha ammesso che «lo spettacolo ha qualche esigenza, ma qualche», spiegando di avergli consigliato di dimagrire «per motivi di salute», ma senza vincoli o costrizioni: «Io credo che i “per forza” non abbiano mai fatto grandi cose». Più tardi, sui social, ha precisato la sua posizione in merito alle accuse di aver costretto Ferro a nascondere il proprio orientamento sessuale: «Sorrido perché la mia storia di vicinanza a questo argomento parla per me, che fra l’altro reputo che la libertà e l’auto-determinazione siano sacre». Per ora non c’è stato un seguito, ma il fatto stesso che Ferro abbia condiviso l’articolo di MOW fa pensare che ciò che vi è scritto sia almeno in parte vero. Che la verità stia nel mezzo e sia più complessa di così? Chissà.

Tra le altre cose che ha detto in conferenza stampa, Maionchi ha spiegato che «ci sono certi artisti che non hanno bisogno di alcuna scaltrezza, come anche lui», e che quindi, al di là delle strategie che si possono mettere in pratica sull’immagine e la comunicazione in generale di un cantante, alla fine ciò che conta sono le canzoni, e se quelle sono valide in un modo o nell’altro quella musica arriva al pubblico. Ora, si può credere che sia davvero così. Resta il fatto che all’epoca Ferro fu venduto come un teen idol a tutti i costi, al di là dei retroscena ‒ cioè che Ferro fosse d’accordo o meno, che fosse stato costretto o meno, banalmente che Maionchi e Salerno sapessero della sua omosessualità o meno. E quindi ok, le canzoni vanno anche da sé, ma spesso è inevitabile che ci sia un lavoro di promozione e costruzione del personaggio intorno, di cui le case discografiche non possono e non vogliono fare a meno. Questa è la prima lezione di questa faccenda, cioè che tante belle parole restano tali, e i fatti raccontano un’altra realtà. L’altra è un invito: magari fermiamoci, appunto, alle canzoni, e non prendiamo per buono proprio tutto ciò che ci viene raccontato. Si sta solo cercando di vendere della musica, e ciò che c’è dietro questo meccanismo non è così trasparente. Chiedere a Ferro e a Maionchi, nel caso.